di Marco Cedolin
Per molti versi la vicenda della statuetta scagliata in faccia al Presidente del Consiglio Berlusconi da parte dello sconosciuto Massimo Tartaglia sembra molto più simile ad un punto di partenza, piuttosto che non ad uno di arrivo, come invece sarebbe stato logico augurarsi.
La partenza di una stagione di odio che rischia di travalicare l’ambito del confronto civile, sia pur condotto con toni alti, per sfociare nella violenza, quella vera, anziché il terminale di tutta una
serie di tensioni che da molti mesi ammorbavano il confronto fra governo ed opposizione, con pesanti responsabilità di entrambe le parti.
Senza dubbio fin dai primi momenti dopo il ferimento, la maggioranza nell’analizzare l’episodio ha tentato di sfruttarlo a proprio uso e consumo. Presentandolo come un tentativo di assassinio, mentre forse non era proprio così. Stigmatizzando l’opposizione urlata che avrebbe “armato” la mano di Tartaglia, che invece avrebbe potuto essere semplicemente uno psicopatico armato dalla propria malattia. Esaltando le
virtù e lo spirito stoico del Cavaliere che viene odiato nonostante si prodighi per il bene del paese. Enfatizzando l’affetto della gente accorsa al capezzale, quasi si trattasse di un martire. Criminalizzando e creando un caso intorno ai deficienti che sul web inneggiavano a Tartaglia e auspicavano l’uccisione di Berlusconi, ... ... mentre i deficienti sono sempre esistiti in ogni epoca e l’idiozia non è certo un prodotto di facebook o del web, né tanto meno un appannaggio di chi contesta Berlusconi, fra le cui fila i deficienti rappresentano oltretutto un’esigua minoranza.
L’opposizione dal canto suo ha tentato di ridimensionare il danno derivante da un’aggressione violenta che avrebbe potuto farle perdere consensi. Ha espresso in massa solidarietà a Berlusconi, sia pure con qualche eccezione di rilievo come Di Pietro e Rosi Bindi. Ha messo in evidenza il tentativo del governo di strumentalizzare il pur grave fatto accaduto. Ha enfatizzato il progetto di Maroni di contrastare i deficienti sul web, ventilando l’ipotesi di un disegno di censura su internet ancora tutto da realizzare.
Fino a questo punto sembravano esistere tutte le prerogative perché, nell’alveo degli inviti ad abbassare i toni ripetuti più volte dal Presidente Napolitano, l’impatto della statuetta del Duomo sul viso di Berlusconi potesse rappresentare il punto di arrivo di un confronto urlato, destinato a stemperarsi con l’apporto del buon senso.
Ieri mattina però sul Messaggero si leggeva
l'intervista ad Antonio Di Pietro che riportiamo integralmente:
ROMA (16 dicembre) - «Tutte le tv stanno lavorando per criminalizzare l'IdV, Annozero, il gruppo Espresso, pure l'Unità: vogliono trovare gruppi e persone da colpire - dice il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro - Dietro questo atteggiamento ci sono chiari messaggi mafiosi. Chi deve capire poi capisce. Vogliono l'annientamento politico e fisico degli avversari politici». Di Pietro accusa Berlusconi e maggioranza di fascismo e sottolinea il ruolo di "Resistenza" dell'Idv affermando che «senza partigiani» non sarebbe stato possibile «eliminare» il Duce. All'osservazione che così non si abbassano i toni, il leader dell'Idv replica: «Loro li hanno alzati fino alle minacce fisiche, Cicchitto ha dato indicazioni sulle persone da colpire. Si scambia la vittima per l'aggressore, quando c'è un governo fascista e piduista per fortuna c'è qualcuno che inizia a fare resistenza». Al giornalista che obietta che in Italia non c'è il fascismo, Di Pietro risponde: «Scusi, ma quando c'era il Duce, la colpa era di chi denunciava o di chi limitava la libertà? Ci si poteva liberare di lui senza i partigiani?. La democrazia c'è solo con la pluralità dell'informazione, e in Italia è controllata, la magistratura è ridotta all'impotenza, la Corte costituzionale è accusata di guerra civile. L'unica differenza è che non c'è l'olio di ricino. Se c'è il fascismo prima o poi qualcuno spara... Non si faccia confusione. La nostra è una resistenza democratica e pacifica. Chi minaccia sono loro, che criminalizzano le opposizioni». I suoi toni la allontanano dal Pd? «Al contrario, serve un nuovo Cln, anche con Casini, per liberarci dell'anomalia piduista. Io non abbandono il fronte».
Personalmente nutriamo la convinzione che dichiarazioni come quelle rese da Antonio Di Pietro rappresentino al contrario il tentativo di trasformare l’aggressione di Massimo Tartaglia nel punto di partenza di una spirale di odio senza senso che potrebbe condurre il paese in acque ben più pericolose di quelle burrascose attraverso le quali navighiamo già adesso.
La volontà di rappresentare un mediocre governo (al pari di tutti quelli che lo hanno preceduto)
scelto legittimamente dagli elettori come reincarnazione del fascismo di Mussolini pare totalmente priva di senso. Soprattutto nell’anno del signore 2009, allorquando la stragrande maggioranza dei problemi, delle leggi e dei provvedimenti rivestono un carattere transnazionale e l’Italia è inserita all’interno della UE, della quale, anche grazie al voto di Di Pietro, condivide la Costituzione.
Così come totalmente privi di senso ed altamente pericolosi risultano i richiami alla guerra civile ed alla resistenza, trasposti in una realtà come quella dell’Italia di oggi, martoriata dalle lobby finanziarie e dalle multinazionali senza scrupoli. Dominata dall’egemonia americana, affamata dalle delocalizzazioni selvagge e dilaniata dai mentori della crescita e dello sviluppo che cementificando senza posa il territorio hanno reso l’aria irrespirabile ed annientato il nostro futuro.
Una resistenza che stando alle parole di Antonio Di Pietro dovrebbe portare ad una nuova guerra civile, dove a capeggiare il nuovo Cln si porrebbero lui, il PD e Casini, fino all’annientamento del nemico, piduista e fascista ed alla liberazione dell’Italia dal governo che gli italiani hanno scelto in elezioni democratiche.
Berlusconi
non ci piace e non ci è
mai piaciuto, ma ci piacciono ancora meno le guerre civili ed i condottieri che si autoproclamano come liberatori, senza essere stati deputati a farlo da nessuna volontà popolare. La strada intrapresa da Antonio Di Pietro ci sembra essere la peggiore possibile, in sé ben più pericolosa del gesto di Tartaglia e non ci resta che sperare che al momento della partenza per la guerra civile si ritrovi da solo, armato di una statuetta e nulla più.
Marco Cedolin
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