DI CHI E' LA "MIA" VITA?
di Fabio de Nardis
Il Senato Americano ha approvato una legge secondo cui, in caso di ferimento o omicidio di una donna incinta, il colpevole dovrà essere incriminato separatamente per le lesioni al feto. La proposta è stata discussa e approvata sull’onda emotiva dovuta al ritrovamento nella Baia di San Fransico del corpo di una donna incinta di otto mesi. La legge, apparentemente serena, ha invece sollevato forti critiche e un acceso dibattito parlamentare. In realtà quasi il 50% degli Stati Americani adottano leggi di tutela del nascituro in caso di lesioni da parte di esterni, ed è giusto. Ma ciò che fa discutere in questo caso è che tale tutela varrebbe qualunque sia il livello di sviluppo del feto (at any stage of development). In pratica, il feto si trasformerebbe in soggetto giuridico fin dal concepimento.
Molti attivisti per i diritti civili affermano senza mezzi termini che una simile legge rappresenta un colpo durissimo al diritto della donna... ... di decidere sul prosegiumento o meno di un’eventuale gravidanza e che il vero intento dei proponenti è proprio quello di arrivare a mettere in discussione questo diritto. Il dibattito, da una questione di giustizia criminale, si è quindi trasformato in un complesso discorso bioetico. Lo stesso Kerry ha interrotto la propria campagna elettorale per votare contro la legge e sostenere invece una proposta alternativa che avrebbe tutelato la donna incinta senza ricorrere al giudizio separato.
Bush, ovviamente, si è impegnato a firmare la legge, rivendicando la necessità di costruire in America una “società compassionevole in cui ogni nuovo bambino sia benvenuto nella vita e protetto dalla legge”. A parte la logica del discorso di Bush che tende come al solito a sfuggirci (società compassionevole? Benvenuto nella vita?); ma ciò che ci fa riflettere è il concetto stesso di persona (bambino) applicato a un feto di pochi giorni. È il solito discorso che gli antiabortisti propongono per giustificare la propria posizione. Ogni feto è da considerarsi persona viva dal momento stesso del concepimento; dunque l’aborto equivale a un infaticidio. E la madre? Quella è secondaria. È solo uno scherzo della natura, un sorta di contenitore. Ciò che emerge è una totale assenza di laicità e il tentativo di applicare l’etica religiosa alla vita materiale dell’individuo. L’assunto di fondo da cui partono è che l’essere umano non è libero di gestire il proprio corpo perché non ne è il vero proprietario. Allora cercherò di articolare il mio ragionamento partendo da qui. il presupposto conoscitivo dell’uomo laico dovrebbe partire proprio dal concetto cristiano della vita come ‘dono’. Se si accetta tale proposizione non si può non accettarne anche le conseguenze e cioè che il dono diventa proprietà del "chi" a cui è stato donato, e quindi la vita va intesa come proprietà del "chi" che la vive. Se essa è più o meno oggettivamente donata, va considerata come dono e non come prestito del quale bisogna render conto a un chicchessia creditore. Se essa non appartenesse all’individuo che la vive questo cesserebbe di essere una persona trasformandosi in un soggetto, nel senso letterale del termine, ossia assoggettato alla volontà o proprietà di qualcun altro o qualcos’altro. Proposizioni del tipo "Dignità dell’uomo" e "diritto alla vita" sono in primo luogo intese come titolarità proprietaria dell’esistenza individuale.
Quando si parla di rispettare l’altro come se stesso ci si riferisce a un comando evangelico sacrosanto, ma deve essere inteso anche come rispetto delle scelte altrui quando queste non vanno a incidere sulla libertà ontologica di altri individui, altrimenti si parlerebbe di rispetto parziale. Per intenderci, io posso fermare qualcuno che si droga perché so che la cosa fa male, e posso impedire a qualcun altro di tagliarsi le vene per spirito di altruismo o per amore, ma non posso certo legare a una sedia l’uno e l’altro per tutti i giorni della loro vita per evitare che si droghino o si ammazzino; sarebbe una mancanza di rispetto di una legittima libertà di scelta. A quest’ultima affermazione si potrebbe obiettare: 'Ma come la mettiamo in questo caso, cioè con l’aborto? Rispettiamo la libertà di scelta della madre o quella potenziale del nascituro? È a questo punto che entra in gioco il concetto fondamentale di dignità; nel senso che chiunque dovrebbe avere non solo diritto alla vita propria, ma soprattutto a una vita dignitosa. Nel caso dell’embrione non si tratta di stabilire il momento in cui abbia inizio la vita, ma altresì di valutare che tipo di vita gli aspetti e assicurargli, nei limiti del possibile, uno sviluppo vitale dignitoso. Il diritto del potenziale individuo non va inteso semplicemente come diritto alla vita ma ad un certo tipo di vita; se vogliamo, diventa anche diritto a non-nascere.
Fabio de Nardis
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Professore di Sociologia Politica all’Università di Lecce, e professore di Scienze Politiche all’Orientale di Napoli, Fabio de Nardis è attualmente alla UCLA (University of California Los Angeles), per un periodo di ricerca scientifica. Fabio de Nardis è anche direttore della rivista (cartacea e on-line)
“il Dubbio”, una pubblicazione internazionale di analisi politica e sociale.