di Enrico Galoppini
Dopo tanto agitarsi e farsi vedere sicuri di sé, l’Italia, da sola, non riesce nemmeno a riportare a casa due soldati di Marina.
Alla fine
chiediamo aiuto alla “mamma”, l’America.
Si ha un bel dire di voler “internazionalizzare” la questione. Siamo noi stessi, col nostro comportamento in giro per il mondo, che ci attiriamo queste figurette.
Se invece di far dire sostanzialmente al ministro degli Esteri che la Russia, sulla Crimea e l’Ucraina, deve “collaborare”, si tenesse nel debito conto che c’è la maggior parte del mondo (Russia, Cina, India) che non ne vuol sapere dell’unilateralismo americano ed occidentale, certamente intratterremmo migliori rapporti anche con l’India stessa, senza alcun bisogno di “internazionalizzare” alcunché.
Invece, intestardendosi nel voler considerare come l’oracolo la sola “comunità internazionale” (gli Stati Uniti ed i loro “alleati”), si fa questa fine. [...] Il “caso Marò”, insomma, non si sblocca fintanto che si continua a tenere bordone all’Occidente. L’India, discreta alleata di Mosca (sin dall’era sovietica), e rifiutatasi di firmare di firmare le “sanzioni” occidentali alla Siria e all’Iran… non può non tenerne conto.
Ma l’India è anche buon acquirente di armi dall’America, così adesso speriamo di uscire dal pantano facendo esercitare qualche pressione? Anche se, a dir la verità, è più il venditore che ha bisogno dell’acquirente, il quale può sempre rivolgersi a Russia e Cina per quote maggiori del relativo capitolo di spesa.
L’America, poi, in questa storia dei soldati di Marina italiani imbarcati su naviglio civile nell’Oceano Indiano, porta una grave responsabilità, perché aleggia più che un sospetto sull’aver essa stessa aver alimentato il fenomeno della “pirateria” somala con l’obiettivo di farsi attribuire, dalla “comunità internazionale”, il ruolo di “gendarme” anche in quell’area strategicamente così importante che è l’Oceano Indiano.
Insomma, la solita manfrina: creare il problema per fornirne la “soluzione”.
Oltretutto, ci si mostra allegramente incuranti del fatto che questa situazione, che prende a pretesto un episodio se vogliamo “marginale”, mette in seria difficoltà le nostre commesse militari stipulate con Nuova Delhi, a tutto vantaggio del nostro famoso “alleato”. Ma l’Italia non deve appunto sparire come grande potenza industriale?
Così, tra il serio e il faceto – al di là delle manfrine della giustizia indiana (che però non possono essere spiegate con le imminenti elezioni) – siamo ridotti a giocare con le parole, definendo con sufficienza “processino” quello che adesso, spavaldamente, non accettiamo più, fiduciosi che la “mamma” ci aiuterà anche questa volta, così come ci ha “liberato” costantemente dal 1945 ad oggi, passando per la morte di Mattei e Moro, l’eliminazione della classe dirigente sovranista con l’operazione “Mani pulite”, fino al “processo d’integrazione europeo” in corso che sancirà l’annessione pura e semplice dell’Italia e dell’Europa nella “Comunità Euro-Atlantica”.
Siamo, a ben vedere, una Nazione di eterni bambini, che da soli “non ce la fanno”. Possiamo quindi indignarci ancora quando ci definiscono “l’Italietta”?
Enrico Galoppini
Fonte
Eurasia