di Andrea Franzoni
Benché le carte geografiche e le nostre rappresentazioni mentali continuino a preservare l’Europa e l’America, un pò presuntuosamente, al centro dei nostri sistemi e dei nostri schemi cartografici, la geopolitica e l’economia si dimostrano mondi molto più fluidi che, nonostante le resistenza di chi oggi si trova a comandare, propongono nuovi equilibri e fanno sorgere nuove superpotenze un poco oscure molto più ad est di dove abbiamo fino ad ora sempre guardato.
E non c’è solo la Cina, piombata improvvisamente al centro di una certa “analisi” economica e politica chiaramente semplicistica e limitata a ciò che insidia oggi le nostre tasche. C’è anche la Russia, che si allunga fino al bordo del planisfero come se volesse gettare un ponte sull’Alaska, che si allena e si tempra tra le sue nevi per riacquistare un ruolo importante nello scacchiere che una volta la vedeva svettare.
E c’è poi l’India, un grande paese abitato da un miliardo di persone, uno stato giovane e rampante che si è affacciato da poco, e con risultati per lui promettenti, ... ... sull’arena della grande economia e, soprattutto, della grande politica internazionale.
Queste tre potenze emergenti, per quanto possano apparire in gran parte misteriose al 99% degli osservatori e, in parte, anche a loro stesse, con il loro groviglio di spinte, di energie, di contraddizioni e –in un futuro prossimo- di probabili rivendicazioni popolari che sicuramente emergeranno appena il tasso di crescita, e quindi di speranza di riscatto individuale, si stabilizzerà su valori un pò più regolari, sono già considerate da molti le potenze che si spartiranno il potere e il prestigio internazionale nei prossimi anni. Se il concetto di “Secolo cinese” pare si stia diffondendo, forse anche in maniera eccessiva, all’attenzione del “vecchio continente” (Europa) e di quello che era il “nuovo continente”, che comincia a sua volta a dimostrare gli acciacchi dell’età (Nord America) poco si parla dell’ipotetico “Secolo Indiano” e, soprattutto, non si parla per nulla di quello che si potrebbe realizzare se gli stati della regione (India, Cina, Russia ma anche Pakistan e Iran) riuscissero a rimanere uniti e in linea di massima “amici”.
Il peso che questo nuovo blocco orientale avrebbe, unito ai suoi satelliti (la Cina, per esempio, sta aumentando la cooperazione con quegli stati africani o asiatici stufi dell’atteggiamento neo-coloniale offrendo, in cambio di materie prime, aiuti ben più allettanti di quelli che può offrire l’occidente) e soprattutto coeso al suo interno, sarebbe ben superiore a quello di un semplice contrappeso al potere di Washington e dell’UE. Nemmeno ad Oriente, tuttavia, sono tutte rose e fiori: ad oggi –valga come anticipazione- l’anello che scricchiola, stretto com’è tra gli accordi di cooperazione con la Russia, la fredda rivalità con la Cina, i pugni nelle costole del Pakistan e il corteggiamento spietato degli USA, è l’India.
Consce di questa opportunità le classi dirigenti orientali stanno comunque creando i primi metodi di integrazione economici e militari sul modello occidentale. Sta nascendo così un’area di scambio commerciale, utile collante –come noi sappiamo- che in qualche modo “vincola” gli stati membri alla “non-belligeranza” minacciando, per chi si ritira da questi patti, il totale isolamento commerciale, e anche un abbozzo di organizzazione di cooperazione e sostegno militare già ribattezzata, qui da noi, “la NATO dell’est”.
La prima (SAFTA, South Asian Free Trade Agreement, evoluzione della SAARC, South Asian Association for Regional Cooperation) conta la presenza dell’India, di altri sei stati “minori” della zona tra cui il Pakistan e il Bangladesh, ma ha la Cina presente con il ruolo –per ora- di osservatore (così come gli USA, ansiosi di infilarsi anche nell’area di libero scambio dell’Asia del Sud). Considerata da alcuni l’embrione di quella ipotetica potenza orientale, la SAARC sta avendo, almeno a livello di facciata, il pregio di alleviare almeno in prospettiva le frizioni tra India e Pakistan.
A sembrare ben più definita e importante è però la SCO (Shanghai Cooperation Organization, ex “Shanghai Five”), organizzazione di cooperazione non solo economica ma soprattutto militare, promossa dalla Cina e composta oltre che dalla Cina dalla Russia e da quattro stati dell’Asia Centrale (Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan e, per ultimo, l’Uzbekistan, letteralmente strappato dall’area di influenza statunitense dopo le vicende del “massacro di Andjan”). La SCO, nata come “Shanghai Five”, ha già portato a esercitazioni congiunte e alla collaborazione tra gli stati membri sui temi della Difesa, della “lotta al terrorismo, al separatismo e all’estremismo”, e per prevenire l’ingresso di questi stati nell’orbita di Washington. Ma, soprattutto, è pronta ad accogliere quattro nuovi membri, oggi presenti in qualità di osservatori, e cioè Mongolia, Pakistan, Iran e India.
E’ facile capire come la somma di queste due organizzazioni, che legherebbe praticamente tutta l’Asia riunendo miliardi di persone (tra l’altro con un’età media molto bassa), alcune delle economie più promettenti (con il Brasile, corteggiato dalla Cina) e grandi potenze belliche (diverse delle quali nucleari), sia sul piano di scambi economici che di collaborazione e sostegno militare, sia l’incubo che rende insonni le notti dei palazzi del potere di Washington.
E’ chiaro anche come l’unico modo che gli Stati Uniti hanno per scongiurare questo pericolo sia quello di rompere questa alleanza o “strappando” ad essa qualche pezzo importante e/o favorendo uno scontro tra alcuni di questi stati (“divide et impera”).
Impossibili i negoziati con Russia e Iran per ovvi motivi, poco promettenti quelli con la Cina, fermo restando l’atteggiamento ambiguo (come sempre) e doppiogiochista del Pakistan (che concilia il sostegno di facciata agli USA con la presenza, al suo interno, di spinte popolari radicalmente anti-americane), l’anello debole sul quale Washington deve lavorare è l’India, stato più legato e favorevole all’occidente, in grado di avere voce in capitolo per la sua potenza nella scacchiera orientale e se adeguatamente aiutato di controbilanciare Cina e Russia.
Con l’India gli Stati Uniti hanno firmato, tra gli altri, un importante accordo di fornitura di combustibile per il nucleare, acconsentendo a non mettere i piedi in un buon numero di centrali nucleari al di fuori del controllo di ogni organo internazionale (l’India non è membro dell’AIEA). Dall’altra parte la SCO ha invitato con forza l’India a diventarne membro, e la Russia ha firmato accordi per la fornitura di combustibile e di armi.
Gli Stati Uniti hanno però un altro asso nella manica: la diatriba tra India e Pakistan per il controllo del Kashmir e la questione del “terrorismo islamico”.
Il Kashmir è una regione contesa fin dal secondo dopoguerra, e cioè del ritiro della potenza coloniale (Gran Bretagna). All’epoca la regione era divisa in una serie di “Principati”, e si decise per stabilire i nuovi confini dei due stati (l’uno, il Pakistan, musulmano e comprendente ad est l’attuale Bangladesh; l’altro, l’India, nettamente multietnico ma a prevalenza indù) di far scegliere ai principi delle regioni di confine da che parte stare. Il Kashmir, maggioranza musulmana, era allora governato da un principe indù. Nacquero quindi una serie di ribellioni nelle zone a maggioranza musulmana e il principe rispose con la repressione, che provocò l’intervento del neonato Pakistan “in difesa dei fratelli musulmani”. In sostegno del principe intervenne però la neonata India, che chiese in cambio del sostegno repressivo l’adesione del Kashmir all’India stessa. Il conflitto fu “risolto” dalle Nazioni Unite, nel 1947, che quasi salomonicamente divisero il Kashmir in un terzo al Pakistan e due terzi all’India. La regione montagnosa, tuttavia, da allora non ebbe più pace.
Secondo alcuni gli USA starebbero soffiando sulle ceneri del conflitto, che l’integrazione della SAARC avrebbe dovuto tentare di normalizzare, continuando a sostenere da una parte l’India con armi, e dall’altra i gruppi separatisti musulmani.
Storicamente i più importanti gruppi, di ovvia ispirazione islamica e ispirati all’islam politico imparato nei campi Pakistani, sono sostenuti dai servizi pakistani (ISI) con il sostegno della CIA, fin dai tempi della resistenza afgana ai sovietici (palestra di un giovane Bin Laden e di qualche migliaia di altri guerriglieri). "Lashkar-e-Taiba" e "Jaish-e-Muhammad", questi i nomi dei principali gruppi, sarebbero quindi sostenuti in origine dal Pakistan (che mira, ovviamente, ad un’annessione) che li finanzia tramite l’ISI, i servizi segreti più potenti della zona, legati a doppio filo alla CIA.
Non sappiamo, va detto, se questa collaborazione continui anche oggi. Certo è che perfino il "Council on Foreign Relations" (CFR), think-tank statunitense che ha voce in capitolo nella politica estera a stelle e strisce, scriveva in un suo documento (citato da Michael Chossudovsky per Globalresearch.ca) che “attraverso la sua Inter-Services Intelligence (ISI), il Pakistan ha fornito fondi, armi, strutture per l'addestramento ed aiuta il Lashkar e lo Jaish nell'attraversare i confini. Questa assistenza - un tentativo di replicare in Kashmir la "guerra santa" della brigate internazionali islamiche contro l'Unione Sovietica in Afghanistan – ha aiutato l'introduzione dell'integralismo islamico nell'annoso conflitto per il destino del Kashmir…”. Queste due organizzazioni, che oggi sono definite stupidamente “braccio armato di Bin Laden in Kashmir”, hanno quindi radici ben più complesse e vedono, almeno all’origine, un sostegno dell’ISI e cioè di un servizio segreto innegabilmente legato agli interessi degli Stati Uniti e della CIA nella regione.
Gli attentati ferroviari a Bombay, costati la vita a quasi 200 persone, si inseriscono in qualche maniera in questo quadro? Avranno, come effetto, quello di rompere il legame che –almeno a livello di facciata- si stava creando fra governi di India e Pakistan portandoli allo scontro? Se il Pakistan fosse veramente all’oscuro di tutto, impegnato nel tentativo di normalizzare la vicenda reso vano da questo attentato, ci sarebbero da valutare altre implicazioni.
Tuttavia è certamente presto per dirlo, ed ogni conclusione è assolutamente azzardata. Per ora l’India ha effettivamente accusato "Lashkar-e-Taiba" di essere dietro all’attentato, e lo stesso ha fatto la stampa internazionale ribadendo l’idea di Lashkar-e-Taiba come espressione kashmira di Al-Qaeda. L’accusa indiana a questa organizzazione, implicitamente, suona come un’accusa al Pakistan che ha dal canto suo condannato l’attentato. La stessa “Lashkar” pare avere negato ogni suo ruolo nell’attentato rendendo il tutto ancora più complicato.
Se questo evento avvicinerà l’India agli USA, allontanandola dal Pakistan e dai processi di integrazione asiatica, sarà il tempo a dirlo. Certo è che l’adesione dell’India alla “Coalizione di lotta al terrore” sarebbe proprio un gran regalo che il Pakistan (o chi ha sostenuto chi ha veramente organizzato l’attentato) fa agli USA e all’occidente, avvicinando ad essi l’India e smembrando così il progetto di un grande blocco di potere asiatico.
Andrea Franzoni (Mnz86)