di Massimo Mazzucco
07.06.04 - E’ facile, oggi, “tenere” per i palestinesi. Fin troppo facile. Specialmente dopo la recente demolizione da parte dei bulldozer israeliani di almeno 2000 abitazioni a Rafah – di certo non tutte “rifugio di terroristi” - è quasi un pleonasma farlo.
Ma ad ascoltare con un pò più di attenzione quello che hanno da dire proprio le famiglie dei senza-tetto di questa ultima ondata di devastazione, almeno un piccolo dubbio trova modo di insinuarsi fra le pieghe del nostro “sdegno” ormai totalitario.
Vediamo dove vive, e sentiamo cosa racconta una donna di Rafah, la cui famiglia è composta da dieci persone.
Mi chiamo Maha Abu Shatat, e vivo negli spogliatoi del campo di calcio di Rafah, con mio marito e 8 figli.
La
nostra casa è stata rasa al suolo dai soldati israeliani, che
hanno detto che era in posizione pericolosa, perchè troppo
vicina al confine, e quindi utilizzabile per scavare dei tunnel verso
l'Egitto.
Ecco uno dei tanti tunnel che gli israeliani hanno trovato e poi fatto saltare in più punti (con cariche di dinamite poderose, per evitare che vengano riutilizzati). Il soldato israeliano che vedete nella foto è poi morto qualche giorno dopo, nell'esplosione del suo mezzo blindato.
I tunnel arrivano ad essere anche di duecentocinquanta metri di lunghezza. Gli israeliani dicono che vengono usati per far passare armi, munizioni rifornimenti ed esplosivi di ogni tipo.
Sotto, le varie fasi del piano di "ritiro" di Sharon. Non sembra che si sia proprio sprecato, dopotutto. Specialmente vedendo che la I fase (blu) prevede solo 3 insediamenti rimossi, e alla seconda ci sono ottime probabilità di non arrivare mai.
Il lato inferiore breve della striscia è il confine con l'Egitto. Il quadratino blu, Rafah, corrisponde più o meno all'immagine qui sotto, vista però dal mare:
A destra e in basso, è territorio egiziano. A sinistra e in alto, Rafah, Palestina. Sono divisi dalle barricate di cemento del confine, appena oltre le quali si vede la lunga striscia di terra che è stata spianata dai bulldozer israeliani. E in quel tratto fra il muro e le case che corrono - o correvano - numerosi tunnel verso l'Egitto.
Inizialmente
eravamo soli, ma ora siamo già tre famiglie a convivere negli
spogliatoi. Tutto quello che abbiamo è quello che siamo riusciti
a raccattare in fretta e furia da casa nostra, prima che la radessero
al suolo. Ci hanno dato cinque minuti di orologio, non un secondo di
più.
Questo è il nostro riscaldamento: griglia di giorno, calorifero di notte. Uno per tutti.
Abbiamo
ripetutamente chiesto aiuto sia all'Autorità Palestinese che
alle missioni internazionali, ma i primi ci ignorano regolarmente,
mentre le seconde dicono che siccome non siamo rifugiati, ma residenti
regolari, non abbiamo diritto a nessuna sovvenzione. I responsabili
dello stadio intanto vogliono mandarci via, ma noi non ci muoveremo di
qui finchè qualcuno non avrà fatto qualcosa per noi. Tanto di partite di calcio non è che se ne giochino più molte, ultimamente.
Perchè l'Autorità Palestinese non fa assolutamente nulla per loro? Specialmente quando si viene a sapere che molte di queste famiglie, oltre che vivere col continuo rischio di vedersi entrare un missile dalla finestra, erano state obbligate dagli stessi palestinesi - contro la loro volontà - a permettere di far sbucare un tunnel proprio in casa loro? Perchè vengono usati e gettati come se fossero gente di un'altra nazione, come se le loro sofferenze non fossero le stesse sofferenze di tutti gli altri palestinesi?
Ferma restando la nostra convinzione, che in errore sia per prima la cieca politica annessionista dei sionisti al governo (e non, "degli ebrei"), è qui che nasce il sospetto che qualcosa di più grosso si stia giocando sulle teste sia dell’uno che dell’altro popolo. Come se il vero scopo della guerra fosse qualcosa di più di un marciapiede di Gerusalemme da non mollare, o di una lapide della Spianata da recuperare. Non siamo in grado di dire che cosa, ovviamente, ma potrebbero esserci forze che manovrano nell'oscurità per questioni ultime di territorio legate all’acqua (che da queste parti è in realtà molto più preziosa del petrolio), potrebbe essere l’intricata ragnatela di interessi incrociati, locali ed internazionali, che sfugge ormai al controllo di una qualsiasi entità finita, o potrebbe anche essere la semplicissima scena conclusiva dell'estenuante duello fra due irriducibili nemici personali – Arafat e Sharon – che hanno finito per coinvolgere i propri popoli in una tragedia ben più profonda del necessario.
Di sicuro c’è solo una cosa: tutte le guerre – tutte – sono partite giocate sulla pelle della gente, che quasi mai hanno a che fare con le effettive esigenze di questa gente. Da qualunque parte la si guardi. Le loro esigenze vengono sempre create artificialmente, di volta in volta, per poi poter procedere con i veri giochi, che a noi purtroppo sfuggono del tutto.
Forse è per questo che alla fine il pacifismo dà tanto fastidio (molto più di quello che dovrebbe, in fondo, per essere un movimento “innocuo” per definizione, non trovate?). Non perchè oggi te lo trovi qui e domani là, ma perchè, in qualunque caso, toglie ai potenti le preziose pedine di cui hanno costantemente bisogno per giocarsi le loro miserevoli partite sulle nostre teste: cioè noi stessi.
Massimo Mazzucco