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“Ma come puoi credere che...?” - Riflessione sulla genesi del debunking
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6 Anni 8 Mesi fa - 6 Anni 8 Mesi fa #17052
da pencri93
Buonasera a tutti,
nella giornata di ieri mi sono iscritto su luogocomune.net, dopo aver seguito Massimo per anni ed essermi interessato alle teorie del complotto, in particolare sull'11 settembre.
Come molti, qui, non credo alla versione ufficiale rilasciata successivamente, e come tanti altri anche io mi sono fatto le ossa su vari siti internet a suon di discussioni non proprio pacifiche con vari debunkers, che sistematicamente partivano dai maggiori punti interrogativi inerenti ai fatti più disparati e terminavano con offese di varia natura.
Molto spesso mi sono ritrovato ad assistere allo stesso copione, che credo abbiate osservato anche voi: il “complottista” prova ad intavolare una discussione, l'anticomplottista dopo un iniziale atteggiamento superficiale posta qualche link improbabile e nel giro di 5 minuti le argomentazioni di tutte e due le parti diventano identiche: come fai a credere che...? Ma non lo vedi che...?
Essendo io un grande appassionato di psicologia, ed avendo studiato la materia per quasi un decennio, vorrei condividere con voi un riflessione personale sul fenomeno del debunking, e su come si possano trovare moltissimi punti in comune anche in una diatriba fra opinioni apparentemente inconciliabili.
Per alcuni di voi forse saranno banalità, ma confido che una parte dei lettori possa trovare una nuova chiave di lettura per eventuali futuri dibattiti.
Parto con una premessa: non è mia abitudine farmi “antipatica” una persona solamente per ciò che pensa (debunkers inclusi), e credo che a dividere il confronto in un dualistico noi/voi, buoni/cattivi, onesti/disonesti non esca nulla di buono.
Ogni qualvolta io mi ritrovi in questo ambiente però, riemerge un sottile sottofondo di rabbia riguardo ai debunkers più famosi, dovuto non al fatto che si raccontino favole, ma che si impegnino attivamente per portare altre persone a credere la stessa cosa usando molto spesso argomentazioni false e tecniche comunicative disoneste. Questo sì, mi lascia perplesso e vagamente irritato, ma mai toccherei il sacrosanto diritto dell'individuo di credere in ciò che vuole, anche quando ci si racconta qualche bugia per dormire sereni.
Anche perché il raccontarsi delle favole tanto confortanti quanto improbabili è una delle caratteristiche che accomuna virtualmente qualsiasi individuo, a prescindere dal tema in questione.
C'è chi se la racconta sul lavoro (ma figurati se mi licenziano);
o magari nella vita privata (no, mia moglie/marito non ha un amante, non mi tradirebbe mai);
o che ne so, sulla propria salute (va beh, fumo un po' troppo magari, ma non è che mi debba per forza ammalare);
e così via.
Lo facciamo tendenzialmente tutti, in maniera più o meno consapevole.
Come avrete sicuramente intuito non c'è un problema di malafede, che eventualmente è accessorio e riguarda i comportamenti e non le convinzioni, ma la volontà di dormire bene la notte, di allontanarsi da uno stimolo emotivamente doloroso come la prospettiva di un licenziamento o di un tradimento.
Le persone non scelgono le convinzioni in base a ciò che appare più logico, ma a ciò che, nell'economia nel nostro sistema di credenze, viene reputato come la scelta migliore tra quelle a disposizione.
Potremmo discutere ore su cosa voglia dire “migliore”, ma possiamo riassumere il tutto in maniera appropriata dicendo semplicemente che scegliamo ciò che meglio possiamo sostenere, ciò che più ci allontana dal provare dolore ed eventualmente ci avvicina al piacere.
Perché le persone agiscono con un ordine ben preciso: prima si pensa ad eliminare il dolore, e solo dopo (eventualmente) a raggiungere il piacere; e visto che le convinzioni influiscono enormemente sul nostro stato emotivo, vale la pena chiedersi quale sia il meccanismo alla base.
Come si forma una convinzione?
Ipotizziamo una situazione in cui lo studente Paolo venga a contatto con il concetto di creazionismo biblico ed evoluzionismo.
[Non è mia intenzione perorare l'una o l'altra causa]
Paolo dovrà idealmente ascoltare le argomentazioni di entrambe le parti, osservarne le deduzioni logiche per poi decidere quale, secondo lui, ha più senso. Facile, giusto? Non proprio. Le persone non sono calcolatrici, 1+1 non fa sempre 2 e molto spesso ad una logica rigorosa ed inattaccabile preferiamo una versione alternativa meno solida ma più confortante.
Supponiamo infatti, che Paolo nutra un forte timore per la morte. Da una parte, il creazionismo gli offre l'opportunità formare una nuova convinzione che gli permetta di credere in una vita eterna, dove la morte del corpo fisico altro non è che un rito di passaggio; dall'altra, abbiamo un evoluzionismo più pratico e spietato: fai il tuo dovere, dopodiché lasci spazio a nuovi esemplari della tua stessa specie, ma con nuovi vantaggi evolutivi.
Quale dei due scenari sarà più facile da accettare per il nostro studente?
E cosa accadrebbe invece se Paolo fosse spaventato dalla prospettiva di dover rendere conto ad un essere superiore del proprio operato sulla Terra, e reputasse più accettabile l'idea di una vita dove le sue azioni non lo condannino ad una punizione divina?
Creiamo ora un altro scenario ipotetico: lo stesso Paolo ha appena finito di guardare il documentario 11 settembre – La nuova Pearl Harbour.
Come prima cosa Paolo dovrà decidere se il documentario sia valido oppure no, e subito la faccenda diventa complessa perché la scelta mal si presta ad una posizione intermedia che possa dare ragione a tutte e due le parti, ma favorisce piuttosto una visione assolutista dove un'ipotesi esclude l'altra: o il governo è stato partecipe (direttamente o indirettamente) dell'uccisione di migliaia di persone, oppure Mazzucco ha prodotto una bufala. Uno dei due ci racconta balle.
Analizziamo quindi le scelte a disposizione.
Ipotesi numero 1: il governo ha organizzato l'uccisione di migliaia di persone, o vi ha partecipato indirettamente rilevando il pericolo di un attentato nemico ma disponendo comunque che fosse portato a termine.
Conclusione diretta: il governo è capace di uccidere (o di lasciar uccidere) migliaia di persone.
Ipotesi numero 2: Massimo Mazzucco ha raccontato un mucchio di balle, il suo documentario ha presentato una versione dei fatti manipolata per far passare la sua tesi.
Conclusione diretta: Massimo Mazzucco ha raccontato una balla.
Andando puramente ad intuito, quale delle due conclusioni ha più probabilità di incidere significativamente su un sistema di convinzioni?
Alcune persone riescono ad accettare il fatto che il governo abbia orchestrato (o partecipato) il tutto, in maniera più o meno sofferta. La motivazione è semplice: nell'economia del loro sistema di credenze, questa nozione può essere tollerata.
Altre persone, molte altre, rifiuteranno fino al giorno della loro morte di accettare l'11 settembre come un inside job, e la cosa non ha nulla a che vedere con i concetti (per me obsoleti ed inappropriati) di buono/cattivo ed onesto/disonesto, è semplicemente il risultato di un sistema di credenze che non può tollerare una convinzione simile. Una convinzione, infatti, porta SEMPRE con sé delle conseguenze: ci spinge a porre nuove domande, ad analizzare tutto ciò in cui crediamo alla luce di questo nuovo dato, ed esiste una lunga serie di motivazioni che possono rendere questo processo molto, molto doloroso.
Non è consigliabile indagare sul perché in modo specifico, diventerebbe un gioco di società in cui si sparano ipotesi; una scelta più accorta è quella di limitarsi solamente a dire che quella convinzione porterebbe a conseguenze inaccettabili per l'individuo.
Naturalmente il soggetto A opterà per la versione di Mazzucco, mentre il soggetto B per quelle dei debunkers (o qualsiasi altro riferimento adatto allo scopo).
A questo punto possiamo fare un passo indietro e guardare da una nuova prospettiva la domanda nel titolo:
ma come fai a credere che … ?
Domande come questa sono tendenzialmente inefficaci, perché l'individuo può sostenere una credenza con qualsiasi tipo di riferimento, anche immaginario, semplicemente dandogli un significato adatto. E se una persona vuole dormire serena, sceglierà la convinzione che più sarà adatta a questo scopo.
Fine.
Il cervello ci permette di farlo, e molti scelgono questa via.
Si potrebbe discutere sulle conseguenze di un tale atteggiamento, ma sarebbe un discorso a parte.
In estrema sintesi, questa è la genesi del debunking, e di molti altri fenomeni simili.
Questo è il motivo per cui raramente partecipo a delle discussioni dove l'oggetto sono i dettagli di un particolare evento, perché nella mia esperienza la quasi totalità dei casi presenta una “platea” formata da persone che si dividono in maniera piuttosto netta fra teorici del complotto e anti-complottisti, tutti con un'idea già precisa: i primi non la cambieranno solo perché Attivissimo riesce a dire (senza ridere tra l'altro, chapeau) che un aereo di linea possa scomparire in una buca lasciando la sagoma a mo' di cartone animato e senza produrre neanche l'ombra di un incendio, e i secondi non accetteranno la logica schiacciante dei fatti come sufficiente.
Nel momento in cui si cerca di convincere un anti-complottista con i fatti (il riferimento è sempre all'11 settembre), si sta tentando di aprire una porta elettronica con una classica chiave in ferro: non funzionerà, lo strumento è inadatto allo scopo.
Credo, anzi, che in questo caso l'effetto sia contrario, ovvero quello di dare indirettamente credito alle teorie del debunker di turno solo per il fatto di parlare per ore di un grattacielo venuto giù manco gli avessero levato la terra da sotto le fondamenta. Una sorta di “paradosso del complottista” che molto spesso si deve affrontare, perché alcune argomentazioni “ufficiali” possono purtroppo convincere chi non si prenda la briga di sentire entrambe le campane.
Nel mio piccolo quindi, premesso che l'argomento per me è archiviato fino a prova contraria, quando mi capita cerco solamente di consigliare la visione di un documentario di Massimo, in modo che poi ognuno possa decidere da solo.
Questa è la mia riflessione, con la quale non voglio dissuadere nessuno dal portare avanti il dibattito in merito ai temi che tanto conosciamo, ma anzi fornire un nuovo punto di vista che vada a capire i bisogni dietro le motivazioni della controparte, senza ridurre il tutto ad un dualistico onesto/disonesto, santo/peccatore o quello che sia.
Perché alla fine, complottisti e anti-complottisti si ritrovano sotto lo stesso cielo, pieno di stelle o di bombe che sia.
nella giornata di ieri mi sono iscritto su luogocomune.net, dopo aver seguito Massimo per anni ed essermi interessato alle teorie del complotto, in particolare sull'11 settembre.
Come molti, qui, non credo alla versione ufficiale rilasciata successivamente, e come tanti altri anche io mi sono fatto le ossa su vari siti internet a suon di discussioni non proprio pacifiche con vari debunkers, che sistematicamente partivano dai maggiori punti interrogativi inerenti ai fatti più disparati e terminavano con offese di varia natura.
Molto spesso mi sono ritrovato ad assistere allo stesso copione, che credo abbiate osservato anche voi: il “complottista” prova ad intavolare una discussione, l'anticomplottista dopo un iniziale atteggiamento superficiale posta qualche link improbabile e nel giro di 5 minuti le argomentazioni di tutte e due le parti diventano identiche: come fai a credere che...? Ma non lo vedi che...?
Essendo io un grande appassionato di psicologia, ed avendo studiato la materia per quasi un decennio, vorrei condividere con voi un riflessione personale sul fenomeno del debunking, e su come si possano trovare moltissimi punti in comune anche in una diatriba fra opinioni apparentemente inconciliabili.
Per alcuni di voi forse saranno banalità, ma confido che una parte dei lettori possa trovare una nuova chiave di lettura per eventuali futuri dibattiti.
Parto con una premessa: non è mia abitudine farmi “antipatica” una persona solamente per ciò che pensa (debunkers inclusi), e credo che a dividere il confronto in un dualistico noi/voi, buoni/cattivi, onesti/disonesti non esca nulla di buono.
Ogni qualvolta io mi ritrovi in questo ambiente però, riemerge un sottile sottofondo di rabbia riguardo ai debunkers più famosi, dovuto non al fatto che si raccontino favole, ma che si impegnino attivamente per portare altre persone a credere la stessa cosa usando molto spesso argomentazioni false e tecniche comunicative disoneste. Questo sì, mi lascia perplesso e vagamente irritato, ma mai toccherei il sacrosanto diritto dell'individuo di credere in ciò che vuole, anche quando ci si racconta qualche bugia per dormire sereni.
Anche perché il raccontarsi delle favole tanto confortanti quanto improbabili è una delle caratteristiche che accomuna virtualmente qualsiasi individuo, a prescindere dal tema in questione.
C'è chi se la racconta sul lavoro (ma figurati se mi licenziano);
o magari nella vita privata (no, mia moglie/marito non ha un amante, non mi tradirebbe mai);
o che ne so, sulla propria salute (va beh, fumo un po' troppo magari, ma non è che mi debba per forza ammalare);
e così via.
Lo facciamo tendenzialmente tutti, in maniera più o meno consapevole.
Come avrete sicuramente intuito non c'è un problema di malafede, che eventualmente è accessorio e riguarda i comportamenti e non le convinzioni, ma la volontà di dormire bene la notte, di allontanarsi da uno stimolo emotivamente doloroso come la prospettiva di un licenziamento o di un tradimento.
Le persone non scelgono le convinzioni in base a ciò che appare più logico, ma a ciò che, nell'economia nel nostro sistema di credenze, viene reputato come la scelta migliore tra quelle a disposizione.
Potremmo discutere ore su cosa voglia dire “migliore”, ma possiamo riassumere il tutto in maniera appropriata dicendo semplicemente che scegliamo ciò che meglio possiamo sostenere, ciò che più ci allontana dal provare dolore ed eventualmente ci avvicina al piacere.
Perché le persone agiscono con un ordine ben preciso: prima si pensa ad eliminare il dolore, e solo dopo (eventualmente) a raggiungere il piacere; e visto che le convinzioni influiscono enormemente sul nostro stato emotivo, vale la pena chiedersi quale sia il meccanismo alla base.
Come si forma una convinzione?
Ipotizziamo una situazione in cui lo studente Paolo venga a contatto con il concetto di creazionismo biblico ed evoluzionismo.
[Non è mia intenzione perorare l'una o l'altra causa]
Paolo dovrà idealmente ascoltare le argomentazioni di entrambe le parti, osservarne le deduzioni logiche per poi decidere quale, secondo lui, ha più senso. Facile, giusto? Non proprio. Le persone non sono calcolatrici, 1+1 non fa sempre 2 e molto spesso ad una logica rigorosa ed inattaccabile preferiamo una versione alternativa meno solida ma più confortante.
Supponiamo infatti, che Paolo nutra un forte timore per la morte. Da una parte, il creazionismo gli offre l'opportunità formare una nuova convinzione che gli permetta di credere in una vita eterna, dove la morte del corpo fisico altro non è che un rito di passaggio; dall'altra, abbiamo un evoluzionismo più pratico e spietato: fai il tuo dovere, dopodiché lasci spazio a nuovi esemplari della tua stessa specie, ma con nuovi vantaggi evolutivi.
Quale dei due scenari sarà più facile da accettare per il nostro studente?
E cosa accadrebbe invece se Paolo fosse spaventato dalla prospettiva di dover rendere conto ad un essere superiore del proprio operato sulla Terra, e reputasse più accettabile l'idea di una vita dove le sue azioni non lo condannino ad una punizione divina?
Creiamo ora un altro scenario ipotetico: lo stesso Paolo ha appena finito di guardare il documentario 11 settembre – La nuova Pearl Harbour.
Come prima cosa Paolo dovrà decidere se il documentario sia valido oppure no, e subito la faccenda diventa complessa perché la scelta mal si presta ad una posizione intermedia che possa dare ragione a tutte e due le parti, ma favorisce piuttosto una visione assolutista dove un'ipotesi esclude l'altra: o il governo è stato partecipe (direttamente o indirettamente) dell'uccisione di migliaia di persone, oppure Mazzucco ha prodotto una bufala. Uno dei due ci racconta balle.
Analizziamo quindi le scelte a disposizione.
Ipotesi numero 1: il governo ha organizzato l'uccisione di migliaia di persone, o vi ha partecipato indirettamente rilevando il pericolo di un attentato nemico ma disponendo comunque che fosse portato a termine.
Conclusione diretta: il governo è capace di uccidere (o di lasciar uccidere) migliaia di persone.
Ipotesi numero 2: Massimo Mazzucco ha raccontato un mucchio di balle, il suo documentario ha presentato una versione dei fatti manipolata per far passare la sua tesi.
Conclusione diretta: Massimo Mazzucco ha raccontato una balla.
Andando puramente ad intuito, quale delle due conclusioni ha più probabilità di incidere significativamente su un sistema di convinzioni?
Alcune persone riescono ad accettare il fatto che il governo abbia orchestrato (o partecipato) il tutto, in maniera più o meno sofferta. La motivazione è semplice: nell'economia del loro sistema di credenze, questa nozione può essere tollerata.
Altre persone, molte altre, rifiuteranno fino al giorno della loro morte di accettare l'11 settembre come un inside job, e la cosa non ha nulla a che vedere con i concetti (per me obsoleti ed inappropriati) di buono/cattivo ed onesto/disonesto, è semplicemente il risultato di un sistema di credenze che non può tollerare una convinzione simile. Una convinzione, infatti, porta SEMPRE con sé delle conseguenze: ci spinge a porre nuove domande, ad analizzare tutto ciò in cui crediamo alla luce di questo nuovo dato, ed esiste una lunga serie di motivazioni che possono rendere questo processo molto, molto doloroso.
Non è consigliabile indagare sul perché in modo specifico, diventerebbe un gioco di società in cui si sparano ipotesi; una scelta più accorta è quella di limitarsi solamente a dire che quella convinzione porterebbe a conseguenze inaccettabili per l'individuo.
Naturalmente il soggetto A opterà per la versione di Mazzucco, mentre il soggetto B per quelle dei debunkers (o qualsiasi altro riferimento adatto allo scopo).
A questo punto possiamo fare un passo indietro e guardare da una nuova prospettiva la domanda nel titolo:
ma come fai a credere che … ?
Domande come questa sono tendenzialmente inefficaci, perché l'individuo può sostenere una credenza con qualsiasi tipo di riferimento, anche immaginario, semplicemente dandogli un significato adatto. E se una persona vuole dormire serena, sceglierà la convinzione che più sarà adatta a questo scopo.
Fine.
Il cervello ci permette di farlo, e molti scelgono questa via.
Si potrebbe discutere sulle conseguenze di un tale atteggiamento, ma sarebbe un discorso a parte.
In estrema sintesi, questa è la genesi del debunking, e di molti altri fenomeni simili.
Questo è il motivo per cui raramente partecipo a delle discussioni dove l'oggetto sono i dettagli di un particolare evento, perché nella mia esperienza la quasi totalità dei casi presenta una “platea” formata da persone che si dividono in maniera piuttosto netta fra teorici del complotto e anti-complottisti, tutti con un'idea già precisa: i primi non la cambieranno solo perché Attivissimo riesce a dire (senza ridere tra l'altro, chapeau) che un aereo di linea possa scomparire in una buca lasciando la sagoma a mo' di cartone animato e senza produrre neanche l'ombra di un incendio, e i secondi non accetteranno la logica schiacciante dei fatti come sufficiente.
Nel momento in cui si cerca di convincere un anti-complottista con i fatti (il riferimento è sempre all'11 settembre), si sta tentando di aprire una porta elettronica con una classica chiave in ferro: non funzionerà, lo strumento è inadatto allo scopo.
Credo, anzi, che in questo caso l'effetto sia contrario, ovvero quello di dare indirettamente credito alle teorie del debunker di turno solo per il fatto di parlare per ore di un grattacielo venuto giù manco gli avessero levato la terra da sotto le fondamenta. Una sorta di “paradosso del complottista” che molto spesso si deve affrontare, perché alcune argomentazioni “ufficiali” possono purtroppo convincere chi non si prenda la briga di sentire entrambe le campane.
Nel mio piccolo quindi, premesso che l'argomento per me è archiviato fino a prova contraria, quando mi capita cerco solamente di consigliare la visione di un documentario di Massimo, in modo che poi ognuno possa decidere da solo.
Questa è la mia riflessione, con la quale non voglio dissuadere nessuno dal portare avanti il dibattito in merito ai temi che tanto conosciamo, ma anzi fornire un nuovo punto di vista che vada a capire i bisogni dietro le motivazioni della controparte, senza ridurre il tutto ad un dualistico onesto/disonesto, santo/peccatore o quello che sia.
Perché alla fine, complottisti e anti-complottisti si ritrovano sotto lo stesso cielo, pieno di stelle o di bombe che sia.
Ultima Modifica 6 Anni 8 Mesi fa da pencri93. Motivo: Controllo grammaticale e scorrevolezza testo.
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