di Marcello Pamio
Oggi vero e falso sono la stessa cosa,
talmente identici da non essere più distinguibili,
e anzi hanno finito per farsi intercambiabili.
Il tormentone estivo quest'anno non è una canzone di Mahamood, ma un’applicazione per il cellulare. L’app che sta facendo letteralmente impazzire il cyberspazio, vip compresi, si chiama «FaceApp». Una applicazione prodotta nel 2017 dalla società «Wireless Lab OOO» con sede a San Pietroburgo, fondata da un certo Yaroslav Goncharov. Nel mondo sempre più persone la stanno usando e i numeri parlano da soli: «oltre 80 milioni di utenti attivi». Così almeno è quanto scritto nel sito ufficiale.
Cos'ha di così attraente FaceApp?
Innanzitutto l’utilizzo è facilissimo e immediato: una volta scaricata gratuitamente da PlayStore o AppleStore, basta farsi una fotografia in primo piano (selfie) con il cellulare e poi ci penserà l’applicazione a trasformarla con dei filtri appositi. Fin qui nulla di strano: esistono centinaia di programmi di grafica che modificano e alterano le foto, per cui cosa c’è di speciale in questa?
Per capirlo è necessario conoscere il cuore e il cervello di «FaceApp»: potenti algoritmi di Intelligenza Artificiale! Avete letto bene, questa non è una normale applicazione, perché qui viaggiamo nel mondo dell’AI.
Lo spiega lo stesso fondatore Goncharov: «abbiamo sviluppato una nuova tecnologia che sfrutta le reti neurali per modificare in maniera realistica il volto nelle foto».
ATTENZIONE: Da oggi per aprire nuovi thread nel forum dovete chiedere il mio permesso. Questo sito sta diventando uno zoo. (M.M.)
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Una volta facevi il giornalista. Una volta sapevi affrontare qualunque argomento, anche il più controverso, con equidistanza e con obiettività, stando ben attento a non far entrare le tue opinioni personali nel dibattito in corso.
Oggi invece hai completamente rinunciato al sacro principio su cui è basato il tuo mestiere, che è quello dell'obiettività, e ti sei apertamente schierato, su tutte le questioni più controverse, come una comare da cortile.
Urli e ti agiti per imporre le sue opinioni, approfitti del tuo palcoscenico televisivo per fare dei piccoli comizi travestiti da editoriale, ed arrivi persino ad insultare le persone che non la pensano come te.
L'ultimo caso, in ordine di tempo, è stato l'infelice post di ieri, nel quale davi dei "fessi" a tutti coloro che non credono che siamo stati sulla luna. Per la precisione, hai scritto: "Un saluto ai fessi che non credono che l'uomo sia andato sulla luna. Senza quell'impresa non esisterebbe gran parte delle conquiste tecnologiche che vi permettono di non confinare al tavolo del bar le vostre 'opinioni' ".
di Lorenzo Piazza
"Qual è il prezzo delle bugie? Non che le confondiamo con la verità. Il vero pericolo è che abbiamo ascoltato tante di quelle bugie da non riconoscere più la verità. Cosa fare allora? Non resta che abbandonare anche solo l'idea della verità e accontentarci delle storie. In queste storie non importa chi siano gli eroi. Quello che vogliamo sapere è a chi dare la colpa".
Con queste parole di Valerij Legasov inizia la serie, anzi la mini-serie, Chernobyl, coprodotta da HBO e Sky Atlantic e trasmessa in lingua originale dal 06 maggio al 03 giugno 2019.
Personalmente ero venuto a conoscenza dell'arrivo imminente di questo docudrama alcuni mesi fa, proprio mentre stavo scrivendo la ricerca "Chernobyl – 33 anni di bugie", pubblicata di recente da luogocomune.
Rimasi dunque vigile in attesa di poter valutare come sarebbe stata presentata la tragedia. Ammetto che, in base alla mia esperienza di serie tv, non mi aspettavo dei risultati eccelsi. Ho infatti riscontrato in numerosi casi l'incapacità degli autori nel sostenere un intreccio fedele e coerente alla caratterizzazione dei personaggi, cosa che, quasi inevitabilmente, si verifica quando il prodotto è sul viale del tramonto: cito a titolo esemplificativo le ultime stagioni di Lost, Prison Break, Dexter, The Walking Dead, e l'ultimo scempio in ordine cronologico, Il Trono di Spade. "Chernobyl" invece, salvo ripensamenti dovuti al profitto, consta di sole 5 puntate e si basa su un fatto storico su cui sono stati scritti ettolitri di inchiostro e sono già stati girati chilometri di pellicola in documentari.
Desecretato il famoso video della Ferrometal, che mostra il crollo del ponte. Abbiamo numerato i fotogrammi centrali, per facilitare la discussione:
Di solito le serie televisive - e la fiction in generale - prendono spunto da eventi reali, e li elaborano fino a creare una realtà parallela, fittizia, che si presti meglio della realtà stessa ad essere rappresentata in termini narrativi. In altre parole, si parte da una situazione reale, e si introducono elementi specifici - l'eroe, l'antagonista, l'identificazione dello spettatore, la dinamica dei conflitti interni - in modo da rendere la vicenda narrativamente piacevole. Si ottiene così una rappresentazione realistica di ciò che nella realtà non è mai esistito.
Vi sono alcuni casi, invece, in cui avviene esattamente l'opposto. Ovvero, si prende un fatto relativamente noto, e pur restando all'interno delle coordinate storiche che lo hanno determinato, si rivelano aspetti della vicenda che erano rimasti finora sconosciuti.
E' il caso della storia del Prof. Allen Hynek, l'uomo che è passato alla storia per aver "debunkato" ufficialmente tutti i maggiori casi di avvistamenti di UFO in America negli anni '50 e '60.
Nel giornalismo esiste una regola, che si chiama follow-up. Il termine inglese significa letteralmente "proseguire, dare seguito", e si riferisce al fatto che per ogni evento importante sia buona regola, dopo un certo tempo, dare al pubblico un aggiornamento della situazione.
Se in un certo luogo del mondo c'è stato un disastro naturale, si dà subito la notizia del disastro, e poi dopo un pò di tempo si torna sull'argomento, e si riassume la situazione per come si è evoluta nel tempo: quanti sono gli sfollati e i senzatetto, quale è la conta definitiva delle vittime, quali sono le conseguenze che quel disastro ha portato sul tessuto sociale della zona, ecc. In questo modo il lettore non solo rimane aggiornato, ma riesce anche a dare un senso temporale alla vicenda. Nell'arco di tempo trascorso fra l'evento iniziale e la disamina delle sue conseguenze, infatti, il lettore riesce a trarre la sua lezione personale: le autorità locali si sono comportate bene, si sono comportate male, il disastro si poteva evitare, oppure è stato una fatalità, la comunità internazionale ha agito prontamente, oppure non lo ha fatto, chi è intervenuto quali interessi aveva nel farlo, ecc ecc.
Il lettore cioè ragiona sui fatti avvenuti, li vede nel loro arco temporale, e trae e sue conclusioni personali. Il lettore impara dalla storia.
Ma oggi questa sana abitudine sta scomparendo. Ormai ci stiamo abituando sempre di più alle notizie usa-e-getta. Che fine ha fatto ad esempio Greta Thunberg?
Nelle ultime ore, diverse persone mi hanno chiesto di commentare la nuova legge sul copyright appena approvata a Bruxelles. Il problema è che non si riesce a capire esattamente in cosa consista.
Ormai i giornalisti venduti, che rispondono agli interessi delle lobby, sono diventati talmente bravi nel mescolare le acque, che non si riesce a trovare un testo obiettivo che spieghi per filo e per segno quali saranno i cambiamenti più importanti. Ci sono gli articoli trionfalistici, che ti dicono che "finalmente gli autori saranno protetti", e ci sono quelli disfattisti, che dicono che "fra un pò qui censureranno tutto."
Nel mezzo probabilmente sta la verità, ma non la si riece ad identificare con chiarezza. C'è chi parla di filtri automatici per l'upload dei materiali, e chi dice che invece questi filtri non ci saranno. C'è chi dice che le major (Youtube, Google, Facebook) faranno accordi preventivi con i produttori di contenuti, e chi dice che questi accordi verranno fatti volta per volta.
Manifestazioni in tutto il mondo, copertura mediatica da mondiali di calcio, e tutti a strapparsi i capelli per il "miracolo" di questa ragazzina che, "da sola", ha messo in moto la rivoluzione ambientale che salverà il pianeta.
Con un piccolo particolare, che tutti si dimenticano di citare: non esiste un solo partito al mondo, in nessuna delle nazioni più industrializzate, pronto ad accogliere e a fare proprio il messaggio ambientalista di Greta Thunberg.
Manca cioè l'anello di congiunzione fra le parole e i fatti. Ed è forse proprio questo il motivo per cui i media si sono buttati a corpo morto sul fenomeno Greta: perchè sanno tutti benissimo che nessuno farà comunque niente, e che questa faccenda è destinata a dissolversi nel nulla nell'arco di pochissimo tempo. Un po' come quando Bergoglio invoca "la pace nel mondo" serza rivolgersi a nessuno in particolare: lo dice, la notizia passa sui telegiornali, e dopo dieci minuti è già stata dimenticata.
Quindi con Greta si fa audience - e si distoglie la gente da problemi più reali e contingenti - praticamente a costo zero. E' il buonismo da un tot al chilo, quello classico di natura boldriniana che così ferocemente appesta il mondo del politically correct.
E' stupefacente la discussione che si è riuscita a creare attorno all'arresto di Cesare Battisti. Un criminale viene arrestato e riportato a casa sua, dove viene a scontare l'ergastolo. La notizia dovrebbe finire qui.
Ma invece di celebrare semplicemente un successo della giustizia, ora i media si scatenano a discutere sul fatto che il suo arresto sia stato "troppo spettacolarizzato".
La sera del rientro di Battisti i talk televisivi non parlavano d'altro. Su ogni canale, da Rai3 alla Sette a Rete 4 si discuteva il fatto che i ministri dell'interno e della giustizia avessero "fatto passerella" all'aeroporto di Ciampino. Mentre oggi si critica il fatto che il ministro Bonafede abbia pubblicato un video di tre minuti che mostra le ultime fasi del rientro di Battisti. "Che squallore davvero - hanno commentato sui social - Uno dei punti più bassi della Repubblica. Siete riuscite a dare il palcoscenico ad un assassino che non si meritava tutta questa pubblicità".
Molti si domandano perchè alla RAI, nonostante la presidenza di Marcello Foa, non stia cambiando nulla. In questa intervista Maurizio Blondet spiega perchè, a suo parere, sia impossibile cambiare il corso della nostra emittente pubblica.
Cosa promette la Rai che sta nascendo? Si tratta davvero di un cambiamento o stiamo assistendo a una riproposizione, come da gattopardesca memoria, del "che tutto cambi affinché tutto rimanga così com'è" ?
La Rai non è un'azienda. E' una concrezione fossile ripugnante, una stratificazione geologica di stipendiati di diverse stagioni politiche, strato sopra strato: ci sono comunisti, cattocomunisti, persino democristiani, pidiessini, radicali, berlusconiani di sinistra, sessuomani vari, vecchie amanti di capi delle brigate rosse... tutta gente che ha costituito conventicole di potere e alleanze interne, potenti, inamovibili.
Non comandano i direttori, specie se di fresca nomina; comandano questi strati geologici. Anche perché hanno stipendi così spropositati - sopra i 100 mila quasi tutti, un centinaio anche sopra i 200 mila, come la Botteri e la Berlinguer - che persino mandarli via (posto che ci si riuscisse) costerebbe miliardi allo Stato. di sole liquidazioni.
Ci vorrebbe non Foa, ma una dittatura spietata che li fucilasse senza indennizzo, e li seppellisse in terra sconsacrata. Siccome questo non è ritenuto possibile, la Rai resterà quella che è. Un truogolo stratificato di ex tesserati di partiti scomparsi.