Lo avete notato? Ci sono due grandi assenti dalla stampa nazionale: il “ritorno del covid” e la “crisi climatica”. Questi due temi sono completamente scomparsi dall’informazione di regime, e non è un caso.
All'inizio dell'autunno, le farmaceutiche hanno iniziato ad attrezzarsi per la nuova campagna vaccinale, e hanno cominciato a fare pressione sulla stampa nazionale perchè spargesse fra i cittadini una nuova ondata di paura. E i nostri pennivendoli, ubbidienti, si sono messi di buona lena a pubblicare notizie sul “ritorno del covid” con tutte le sue “pericolosissime varianti”, e sugli ospedali che "ricominciano a riempirsi" in ogni parte d'Italia.
Ma gli è andata male. La paura non c'è stata, la campagna vaccinale non è mai partita, e persino gli stessi medici ora si rifiutano di aderire. Il flop è stato tale che Big Pharma ha deciso di non insistere, e piano piano, senza farsene accorgere, le notizie sul “pericolo covid” sono scomparse dai nostri giornali.
Nelle moderne “società democratiche” non è pensabile esercitare apertamente la censura, come si fa invece disinvoltamente nelle dittature. E’ stato quindi necessario inventare un escamotage linguistico, per continuare ad applicare il controllo sulle idee senza apparire dittatoriali. Il termine inventato è “disinformazione”. Il potere si arroga il diritto di stabilire cosa sia “disinformazione”, dopodichè pretende di sopprimere qualunque idea scomoda utilizzando questa etichetta.
E nessuno – questo è il paradosso meraviglioso - può metterla in discussione. Pensateci bene: in una società libera e democratica un autonominatosi giudice delle idee (il famoso fact-checker) stabilisce che una certa testata diffonde “disinformazione”, e quando questa testata chiede di elencare nello specifico dove sarebbe questa “disinformazione”, la risposta gli viene negata.
E’ esattamente quello che è successo a Elon Musk di recente.
Un popolare programma di Al-Jazeera ha fatto luce sull'influenza del governo israeliano sulle politiche di censura di Meta riguardanti l'occupazione della Palestina e i crimini contro il popolo palestinese.
Poco dopo la messa in onda del programma di Al-Jazeera, Facebook ha cancellato senza preavviso l'account personale del presentatore del programma, il giornalista palestinese Tamer Almisshal.
Il programma “What is Hidden is Greater” ha dimostrato il preoccupante rapporto tra il gigante dei social media e il governo israeliano, creando due account Facebook per pubblicare notizie su Israele e Palestina, uno in arabo e uno in ebraico. Il programma ha quindi monitorato il modo in cui Facebook trattava i post su ciascun account.
Negli Stati Uniti c’è un film che sta sbancando al botteghino, con grande sorpresa di tutti. Si intitola “Sound of Freedom”, è costato la miseria di 15 milioni di dollari, e nel solo week-end di apertura ne ha già incassati 40, battendo addirittura l’ultimo “Indiana Jones”.
“Sound of Freedom” è basato sulla vera storia di Tim Ballard, un agente della Homeland Security che ha dedicato la sua carriera alla lotta contro il traffico di minori in nord e sud America.
La forza del film sta tutta nello stile asciutto e senza fronzoli, simile ad un documentario, con immagini crude, spesso male illuminate, come se appunto stessimo assistendo ad un frammento di realtà, e non ad una fiction.
Che cose succede, nel 2023, quando un attivista si alza in piedi davanti all’editore del New York Times, del Washington Post e della Reuters, e li accusa pubblicamente di aver ignorato alcuni temi di fondamentale importanza, come l’attentato al Nord Stream, i comportamenti pericolosi di Zelensky o la prigionia di Assange? Scopritelo da soli.
Fonte video: l'Antidiplomatico
A partire dal primo maggio sarà disponibile la nuova rivista cartacea di Visione Tv. Il primo numero si intitola “La fine dell’impero del male”. (E’ già disponibile in preordine).
Di seguito alcuni estratti degli articoli presenti nel primo numero.
Una nuova e diversa visione del mondo
Di Francesco Toscano
Cari amici, è con un pizzico di emozione che mi appresto a scrivere questo editoriale di presentazione della nostra nuova rivista. Da tempo, infatti, coltivavo il desiderio di offrire al vasto e crescente popolo della "resistenza" uno strumento informativo e culturale coerente, articolato e forte, in grado di aiutare il variegato mondo delle "opposizioni sistemiche" a strutturare e a sedimentare un pensiero alternativo che metta costantemente in discussione i pessimi paradigmi dominanti.
Puente, Attivissimo, Polidoro, fatevi da parte. Ormai siete obsoleti. Il debunking è passato di moda.
A quanto pare, serve a poco inseguire le informazioni scomode per cercare di smontarle: con i tempi millesimali di oggi, il debunker arriva comunque sempre in ritardo, e quando ci mette una pezza ormai il danno è fatto.
Ecco che allora Google scopre il prebunking, ovvero anticipare la disinformazione, prima ancora che inizi a diffondersi.
(L’articolo originale è in svedese e parla dal punto di vista della Svezia. Ylva Johansson è il commissario europeo responsabile della proposta).
La Commissione Europea vuole introdurre la sorveglianza digitale, il cui equivalente può essere trovato solo in stati totalitari come la Cina. Perché quasi nessuno ne parla?
In questo momento, la Commissione europea sta lavorando intensamente su un disegno di legge che significa che tutti i cittadini dell'UE avranno le loro comunicazioni monitorate e controllate. La legge si chiama Chat Control e comprende davvero tutte le comunicazioni: tutte le tue telefonate, ogni volta che chiami in modalità video, tutti i tuoi sms, ogni singola riga che scrivi nelle diverse app di messaggistica (anche servizi criptati), le tue email - tutto potrà essere filtrato in tempo reale e potenzialmente bloccato per una revisione più approfondita. Questo vale anche per le immagini e i video che salvi nei servizi cloud, ovvero praticamente tutto ciò che fai con il tuo smartphone. In altre parole: la tua vita privata è completamente esposta al controllo del governo. Perché nessuno ne parla?
Questo tipo di disegno di legge, che incide e invade in maniera totale la vita delle persone - il cui equivalente si può trovare solo in stati totalitari come la Cina - dovrebbe essere oggetto di dibattito su ogni telegiornale, dovrebbe essere denunciato a nove colonne nelle pagine editoriali. Ylva Johansson è il commissario europeo responsabile della proposta. Perché i giornalisti non la interrogano? Perché non chiedono spiegazioni ai governi?
Undici storici corrispondenti di grandi media lanciano l'allarme sui rischi della narrazione schierata e iper-semplicistica del conflitto: "Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin".
"Osservando le televisioni e leggendo i giornali che parlano della guerra in Ucraina ci siamo resi conto che qualcosa non funziona, che qualcosa si sta muovendo piuttosto male". Inizia così l’appello pubblico di undici storici inviati di guerra di grandi media nazionali (Corriere, Rai, Ansa, Tg5, Repubblica, Panorama, Sole 24 Ore), che lanciano l'allarme sui rischi di una narrazione schierata e iper-semplicistica del conflitto nel giornalismo italiano (qui il testo integrale sul quotidiano online Africa ExPress). "Noi la guerra l'abbiamo vista davvero e dal di dentro: siamo stati sotto le bombe, alcuni dei nostri colleghi e amici sono caduti", esordiscono Massimo Alberizzi, Remigio Benni, Toni Capuozzo, Renzo Cianfanelli, Cristiano Laruffa, Alberto Negri, Giovanni Porzio, Amedeo Ricucci, Claudia Svampa, Vanna Vannuccini e Angela Virdò. "Proprio per questo – spiegano – non ci piace come oggi viene rappresentato il conflitto in Ucraina, il primo di vasta portata dell’era web avanzata. Siamo inondati di notizie, ma nella rappresentazione mediatica i belligeranti vengono divisi acriticamente in buoni e cattivi. Anzi buonissimi e cattivissimi", notano i firmatari. "Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin e quindi, in qualche modo, di essere corresponsabile dei massacri in Ucraina. Ma non è così. Dobbiamo renderci conto che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo".