Nel suo libro, “Il terzo like”, Rocco spiega come le grosse corporation di Big Data (Google/Youtube, Facebook, Wikipedia, Amazon AWS) stiano prendendo il dominio incontrollato dell’informazione globale. Lasciando a noi l’impressione di essere liberi di scegliere.
Potente intervento di Franco Fracassi ad una conferenza su Julian Assange. Fracassi racconta come siamo arrivati al totale imbavagliamento dei giornalisti negli odierni teatri di guerra.
[Grazie ad Aironeblu per la segnalazione].
Il gigante farmaceutico Pfizer Inc. sta sponsorizzando programmi di formazione giornalistica utilizzati da Facebook per addestrare i suoi partner al “fact-checking” e censurare articoli e post critici nei confronti del vaccino COVID-19.
L’International Center For Journalists (ICFJ) – a sua volta finanziato, tra gli altri, dalla Open Society Foundations (fondata da George Soros, ndr) – è partner di Meta, la società madre di Facebook, nella sua iniziativa “Journalism Project”. A sua volta, Facebook si affida ai giornalisti finanziati e formati dall’ICFJ per “combattere la disinformazione” sulla sua piattaforma attraverso la sua controversa operazione di fact-checking.
Insieme, Facebook e l’ICFJ hanno finanziato testate giornalistiche con sede in Africa, America Latina e Medio Oriente, con un’attenzione particolare al reportage di COVID-19.
Il partner di Facebook per il fact-checking ICFJ, tuttavia, riceve anche il sostegno finanziario di Pfizer: la borsa di studio Arthur F. Burns, annunciata di recente e intitolata all’ex presidente della Federal Reserve, annovera il gigante farmaceutico tra gli sponsor del programma.
di Roberto Li Causi
La rete è complessa e variegata. Coinvolge i social network, le tv, i giornali e ha come obiettivo principale il condizionamento dell’opinione pubblica. Si attiva nei momenti chiave dell’azione governativa, attaccando chiunque dubiti o dissenta dalla narrazione dominante in merito a qualunque argomento scottante, dalla Pandemia alla guerra in Ucraina, e sostenendo coloro che portano avanti le tesi promosse dall’esecutivo. La rete filo-governo è ormai una realtà ben radicata in Italia, si tratta però di una realtà che non allarma minimamente gli apparati di sicurezza malgrado tenti ossessivamente di orientare, o peggio boicottare, il dibattito pubblico, facendo largo uso della calunnia, della diffamazione e della menzogna, e potendo contare su parlamentari e influencer, lobbisti e giornalisti.
Francesco Santoianni, scrittore e giornalista per l'Antidiplomatico, ha scritto un libro che mette a nudo i meccanismi essenziali che generano fake news: dai primi fotomontaggi di fine '800 al falso video set delle decapitazioni dell'Isis, dalla propaganda di guerra fino alla distruzione sistematica dei personaggi pubblici tramite i media di regime. L'unico modo per difendersi dalle fake news è di imparare a riconoscerle.
La settimana era cominciata con la figuraccia in diretta di Massimo Giletti nell’intervista con Maria Zakharova, e sta per concludersi in mezzo alle polemiche sulle liste di proscrizione dei “filo-putiniani” pubblicata dal Corriere.
Nel primo caso abbiamo visto una rappresentazione plastica della completa inadeguatezza del giornalismo italiano nel rapportarsi a personaggi importanti del panorama internazionale. Lo scolaretto Giletti, schiaffeggiato ripetutamente dalla maestra Zakharova, rappresentava il perfetto condensato di presunzione ed ignoranza che caratterizza i nostri cosiddetti giornalisti di oggi.
Il caso del Corriere invece è la perfetta esemplificazione della totale sottomissione della stampa ai poteri forti, soprattutto atlantici (NATO+USA). Vedere una testata storica come quella di via Solferino ridursi a fare da passacarte per una operazione di intimidazione mediatica in stile mafioso - stilata dai nostri sevizi, ma chiaramente voluta dagli americani - la dice lunga sul livello di indipendenza di cui dispongano ancora i nostri giornalisti: praticamente zero.
Ieri sera ho assistito ad uno spettacolo indecoroso e potente insieme. Massimo Giletti è stato strapazzato come un bambino delle elementari dalla sua maestra, che gli ha impartito una poderosa lezione di storia in diretta televisiva.
Il grande scoop di Giletti doveva essere una intervista in diretta con Maria Zakharova, la portavoce del ministro degli esteri Lavrov.
Per fate questa intervista Giletti è andato addirittura personalmente a Mosca, nonostante l’ intervista si sia volta via skype, con la Zakharova comodamente seduta a casa sua (avrei potuto farla io, identica, seduto a casa mia). Ma a parte la messinscena inutile, è nei contenuti che Giletti ci ha fatto la figura del merlo.
Prima di intervistare la Zakharova, infatti, Giletti era in collegamento con Massimo Cacciari, e durante lo scambio Giletti ha accennato alle polemiche che hanno preceduto questa sua intervista, dicendo che però secondo lui “il giornalista ha tutto il diritto di intervistare chi vuole, purchè ponga all’intervistato delle domande scomode, e non gli offra una semplice passerella per fare propaganda.”
Ma dal dire al fare… Giletti non conosce il mare.
L’ultimo libro di Franco Fracassi affronta tutti i più importanti fatti storici degli ultimi 70 anni, dal punto di vista della manipolazione dell’informazione. Dal Vietnam alla prima Guerra del Golfo, dall’omicidio Kennedy alla Guerra dei Balcani, la lista dei fatti storici manipolati dai media di regime è quasi più lunga di quella dei fatti storici accertati.
di Alberto Medici
Se da una parte appare evidente la spaccatura fra le cosiddette informazioni ufficiali e quelle che si trovano nel sempre più ricco ed articolato mondo della controinformazione, non si può fare a meno di notare come la fase di transizione dall'una all'altra sia sempre più rapida.
Se in passato una bugia poteva durare molto più a lungo, anche decenni (si pensi all’omicidio Kennedy, allo sbarco sulla luna o all’incidente del golfo del Tonkino, che fornì il pretesto per avviare la guerra in Vietnam), oggi l’avvento di internet, che permette una rapida diffusione di prove, fatti, immagini, ecc., rende possibile una evoluzione sempre più veloce, un passaggio sempre più veloce di una versione alternativa da “complottista” a “verità comunemente accettata“.
Un grande banco di prova per questo nuovo modo di collaborazione mondiale, nella ricerca della verità, è stato sicuramente l’11 Settembre 2001. Anche se a tutt’oggi, a 21 anni dall’evento, molti non sanno la verità, è chiaro che sempre meno persone credono alla versione ufficiale.
Nel mondo anglosassone, con il termine cancel culture si intende quel meccanismo che tende ad escludere un individuo da qualunque circolo sociale o professionale, sia nella realtà che nel mondo virtuale.
Ma da noi, in Italia, questo termine sembra stare assumendo un significato molto più letterale: quello di cancellare – fisicamente – qualunque articolo o informazione dalla rete che possa risultare in qualche modo scomodo al pensiero dominante.
Lo abbiamo visto con le pagine di Wikipedia, dalle quali sono scomparse importanti informazioni storiche, come ad esempio la strage di Odessa, che da “massacro operato da bande naziste” si è trasformata in un semplice “incendio in cui morirono delle persone”. Oppure la pagina relativa ai missili Tochka, dalla quale è scomparsa la data di fine dotazione da parte dei russi, per poter continuare ad incolparli del massacro di Kramatorsk, nascondendo il fatto che fossero invece stati gli Ucraini a compierlo.