Premesso che la scelta del presidente americano ha ormai una importanza molto relativa nel determinare il cammino futuro della nazione – come accade anche per i nostri governi europei – è sempre interessante osservare il processo elettorale, nel quale la gente esprime comunque con passione le proprie idee e le proprie aspettative nella scelta del candidato “ideale” da mandare alla Casa Bianca.
In questa luce non può passare inosservato il fatto che Ron Paul, il candidato “libertarian” per antonomasia, stia portando un notevole scompiglio nelle primarie repubblicane, iniziate qualche giorno fa (Vedi nota in coda sul meccanismo elettorale in USA).
Già nel luglio scorso avevamo segnalato il suo potenziale dirompente, in una situazione dove sempre più persone cominciano a capire che l’unico modo di risolvere i problemi sia quello di demolire alla radice l’attuale sistema monetario, che controlla di fatto nazioni intere tramite il meccanismo del debito infinito.
Essendo l’unico che ha sempre sostenuto la necessità di abolire prima di tutto la Federal Reserve – organismo attorno a cui ruota tutto il sistema monetario attuale - Ron Paul si trova già in posizione ideale per raccogliere i voti di tutti coloro che prima o poi arrivassero alle sue stesse conclusioni. Purtroppo per Paul le sue posizioni estreme nella politica sociale (ognuno per sè, e tanti auguri a tutti gli altri), lo rendono inaccettabile agli occhi dei progressisti e dei liberal, mentre il suo isolazionismo categorico (tutti i militari subito a casa, che Israele si arrangi da solo, noi non aiutiamo più nessuno) lo rendono improponibile all’establishment tout-court.
Nonostante questo Ron Paul è riuscito a raccogliere un consenso eccezionale fra gli elettori repubblicani nella prima tornata dell’Iowa, … … dove ha riportato quasi lo stesso numero di voti (22%) dei due candidati, Romney e Santorum, che hanno vinto a pari merito con il 25% ciascuno. E siccome l’Iowa assegna i delegati (per la nomination finale) in misura proporzionale, e non assoluta, è quasi come se avesse vinto anche lui. Dieci giorni fa Paul era addirittura in testa nei sondaggi nell’Iowa, ma a quel punto è intervenuta la macchina mediatica – che fino a quel momento lo aveva letteralmente ignorato – andando a ripescare qualche scheletro nel suo armadio di sapore decisamente razzista, e la sua immagine di leader puro e immacolato ne ha subito risentito.
In realtà, Paul sa bene che non potrà mai ricevere la nomination di un partito che è praticamente diventato il braccio armato della stessa elite finanziaria che lui vorrebbe demolire. Anche se la furia popolare lo trascinasse a tutti i costi verso la nomination, interverrebbe il classico meccanismo di “selezione naturale” che trova sempre un modo per impedire all’uomo "sbagliato" di accedere alla stanza dei bottoni. Abbiamo già visto cosa è successo appena è balzato in testa nei sondaggi dell'Iowa. Terzo ci può ancora stare, mentre primo avrebbe creato problemi non da poco.
Ma Ron Paul dispone di soldi in abbondanza (dettaglio non trascurabile, in un paese dove ormai una campagna elettorale costa circa 50 milioni di dollari), è supportato da una organizzazione di fedelissimi che lo attendono ormai dappertutto, ed è deciso comunque ad andare fino in fondo. Se non altro, come dice lui stesso, “to spread the message”, per diffondere il messaggio.
Nel suo discorso di ringraziamento agli elettori dell’Iowa (min. 2:35 del video), Ron Paul si è augurato “che venga presto il giorno in cui diremo ‘siamo tutti austriaci!’ ”. Sullo sfondo si muoveva il figlio, Rand Paul, che è già diventato senatore, e si prepara a raccogliere il suo testimone.
Quello che la gente apprezza di Ron Paul non è tanto una riforma monetaria che molti non riescono nemmeno a capire fino in fondo, ma il senso di assoluta fedeltà ad una serie di principi ideali a cui Ron Paul si appella sempre con profondo rispetto e sincera devozione. Quest’uomo dimostra di avere una visione del mondo limpida e precisa, dove non c’è spazio nè per la corruzione nè per il compromesso, ed è disposto ad affrontare qualunque umiliazione pur di vederla realizzata.
C’è però un piccolo problema, che probabilmente sfugge alla massa degli elettori: gli ideali a cui Ron Paul si ispira - libertà individuale sopra di tutto, e lotta accanita alle ingerenze governative di qualunque tipo – sono gli stessi a cui si ispirò la costituzione americana 200 anni fa. Ma il mondo nel frattempo è cambiato molto. All’epoca della costituzione il “governo” era l’entità massima da cui il cittadino andasse difeso, e la vita sociale era praticamente inesistente, per cui la gente rischiava al massimo di subire interferenze limitate all’ambito personale: puoi o non puoi andare in chiesa, puoi o non puoi portare la pistola, puoi o non puoi mandare affanculo chi ti pare. (Non a caso, questi tre principi sono tutti racchiusi nei primi due emendamenti della costituzione).
Oggi invece il potere reale è passato nelle mani di entità che stanno ben al di sopra del governo – banche, corporations e multinazionali - e che anzi lo controllano agevolmente, grazie alla corruzione sistematica della classe politica.
La costituzione dice “one person, one vote” (ogni persona ha diritto ad un voto), ma la realtà oggi è diventata “one dollar, one vote”, nel senso che per vincere le elezioni servono centinaia di milioni di dollari, che poi il candidato deve in qualche modo “restituire” a chi glieli ha “donati”.
Nel frattempo è esplosa la cosiddetta società di massa, che ha richiesto l’implementazione di strutture sociali di uso collettivo – scuole, trasporti, comunicazioni, ospedali, infrastrutture e servizi pubblici di ogni tipo – che prevedono necessariamente una qualche forma di gestione unificata. A sua volta l’esplosione della produzione industriale ha introdotto la necessità di creare leggi che proteggessero in qualche modo il lavoratore dallo sfruttamento indiscriminato.
In questo modo il governo è passato paradossalmente dal nemico pubblico più temibile all’unica ciambella di salvataggio che possa in qualche modo fare da cuscinetto fra il cittadino e lo strapotere esercitato su di esso dai grandi capitali. Naturalmente si tratta di un interfaccia molto ambiguo, capace sia di proteggere il cittadino ma anche di fargli accettare condizioni ben poco allettanti per lui. Il politico vive costantemente fra l'incudine di chi lo ha eletto e il martello di chi gli dice cosa deve fare. Ma almeno il meccanismo esiste.
Se Ron Paul fosse eletto abolirebbe immediatamente i sindacati (bisogna “liberare” il lavoratore dall’obbligo di pagare le quote associative), le scuole pubbliche (bisogna “liberare” i ragazzi dall’obbligo di imparare quello che ti dice il governo), il sistema pensionistico (bisogna “liberare” la gente dagli ostacoli che le impediscono di aprire il proprio libretto di risparmio sanitario), la protezione civile (bisogna “liberare” le industrie dalle pastoie – già molto lasse, peraltro – che cercano di contenere l’inquinamento), il ministero dell’energia (bisogna “liberare” le società petrolifere dalle restrizioni governative che impediscono di trivellare a piacimento il territorio americano, e le altre società energetiche dalle restrizioni che impediscono di aprire centrali atomiche con la stessa disinvoltura).
Anche questa è libertà, dopotutto.
Sia chiaro, ci sono anche degli aspetti positivi nella piattaforma di Ron Paul, come ad esempio l’abolizione della FDA, strumento con cui le case farmaceutiche impediscono la diffusione dei rimedi alternativi, oppure la legalizzazione della marijuana per uso medico. Ma Ron Paul sembra comunque molto più interessato a “liberare” le industrie dal divieto di inquinare che non liberare il cittadino dall’obbligo di respirare aria avvelenata.
Quindi, continuare a vedere il governo nell’ottica primitiva dell’ “usurpatore della libertà”, e toglierlo di mezzo senza rimpiazzare in qualche modo il ruolo indispensabile che ha assunto a livello collettivo, significherebbe lasciare il cittadino alla totale mercè dello strapotere delle corporations, che nel frattempo avrebbero trovato sicuramente il modo per assicurarsi il controllo del 99% dell’oro disponibile, rendendo del tutto inutile la famosa “austricizzazione” del sistema monetario augurata da Ron Paul.
Serve a poco avere una moneta onesta, sana e solida, quando sta tutta nelle mani di chi già prima controllava il mondo.
Massimo Mazzucco
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NOTA: Come funziona negli Stati Uniti il meccanismo delle “primarie”, che sono le elezioni interne di ciascun partito.
Quando il presidente in carica completa il primo termine (4 anni), come sta per accadere con Obama, il suo partito di solito lo ricandida automaticamente, senza bisogno di ricorrere alle primarie. E’ anche un modo per confermare la validità del suo operato e la fiducia del partito verso di lui.
Quindi quest’anno saranno solo i repubblicani a dover scegliere il proprio candidato, che dovrà sfidare Obama nelle presidenziali di novembre. Quando invece il presidente completa il secondo termine, non potendo comunque essere rieletto, ambedue i partiti fanno le primarie, e scelgono ciascuno un nuovo candidato. Accadde ad esempio nel 2008, quando Bush completò il secondo termine: John McCain vinse la nomination dei repubblicani, dopo aver sconfitto il favorito Rudolph Giuliani, mentre Obama vinse quella dei democtratici, dopa aver sconfitto la favoritissima Hillary Clinton.
Solo in casi eccezionali, in presenza di profonde spaccature all’interno di un partito, qualcuno dei suoi membri può “sfidare” il presidente alla fine del primo termine, e chiede di avere lui la “nomination” per il termine successivo. A quel punto anche il partito del presidente deve fare le primarie, per scegliere chi si batterà a novembre con il candidato dell’altro partito. Accadde ad esempio nel 1968, quando Robert Kennedy criticò apertamente la politica guerrafondaia di Johnson in Vietnam, e chiese di porre immediatamente fine a quella guerra genocida. Johnson capì che avrebbe perso la sfida con Kennedy (il movimento pacifista stava crescendo molto rapidamente intorno a lui), e preferì non ricandidarsi pur di non essere umiliato dal suo eterno nemico. Questo aprì la strada alle primarie democratiche che Kennedy avrebbe sicuramente vinto, se non fosse stato ucciso dopo la tornata vittoriosa della California. (Fu poi Humphrey a vincere la nomination democratica, perdendo però le presidenziali contro Richard Nixon).
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