Da tempo ormai è chiaro a tutti i ricercatori più attenti che Lee Harvey Oswald non uccise John Fitzgerald Kennedy. La montagna di prove che smentiscono questa ipotesi è tale che persino i debunkers più accaniti, come Gerald Posner o John McAdams, hanno rinunciato a cercare di smontarle tutte. (In realtà le loro stesse tesi “ufficialiste” sono state fatte a pezzi dai ricercatori complottisti, esattamente come ha fatto David Ray Griffin con il libro di Popular Mechanics per il 9/11 ).
La vera domanda che rimane oggi sul tavolo è “chi è stato ad uccidere John Kennedy?”
Sappiamo infatti che i fratelli Kennedy – il primo come presidente, il secondo come ministro di giustizia – nell’arco di soli due anni erano riusciti ad inimicarsi tutti i maggiori gruppi di potere in America. Si potrebbe quindi puntare il dito sulla mafia, sulla CIA, sui banchieri, sugli industriali delle armi o sull’FBI, senza rischiare di sbagliare più di tanto.
In realtà la coppia di fratelli si era inserita nel complesso meccanismo del potere americano esattamente come un sasso da 5 chili può andare ad incastrarsi nel cuore di un delicato congegno ad orologeria. A quel punto non puoi più toglierlo, devi prima macinarlo.
Nel ricevere la notizia dell’assassinio di John Kennedy, nel suo ufficio di Washington, Robert Kennedy esclamò: “Immaginavo che prima o poi avrebbero fatto fuori uno di noi, ma pensavo che sarebbe toccato a me”. Gli fa eco il ragionamento espresso da uno dei boss mafiosi, nella riunione in cui fu deciso di uccidere il presidente: “Se tagliamo la coda del serpente, la testa continuerà a cercare di morderci. Se invece tagliamo direttamente la testa, anche la coda morirà”.
Per questo motivo, è importante tenere sempre presente che l’uccisione di John Kennedy va messa in relazione alle azioni congiunte dei due fratelli, e non soltanto a quelle del presidente.
L’elemento determinante di tutta la vicenda fu l’elezione a sorpresa di John Kennedy alla presidenza nel 1960 ... ... (tutti pensavano che sarebbe stato eletto Richard Nixon), ma prima bisogna ricordare brevemente ciò che era accaduto nell’anno precedente. [Estratto dal libro “L’altra Dallas”, pagg. 65-66:]
1959 – ANNO CRUCIALE NELLA STORIA AMERICANA
Nell’estate del 1959 Castro si impadronì di Cuba, creando immediatamente un doppio ordine di problemi, sia politici che economici.
Da una parte l’alleanza di Cuba con i sovietici aveva gettato nel panico gli uomini della CIA, che già vivevano da molti anni in stato di tensione permanente a causa della guerra fredda. Cuba infatti, come avrebbe dimostrato la Crisi dei Missili del 1962, rappresentava una postazione strategica di assoluta importanza nei Caraibi.
Dall’altra i danni economici riportati dalla Mafia, che di colpo aveva perso una delle capitali del gioco d’azzardo e della prostituzione, erano stati enormi.
Nascevano così le premesse per una delle più bizzarre alleanze mai conosciute nella storia della nazione americana, quella fra la CIA e la Mafia, che sarebbe durata per lunghissimi anni.
Vi era inoltre una impellenza di tipo normale economico, soprattutto da parte dell’industria dello zucchero, che spingeva per un immediato ripristino del controllo su Cuba.
Non ultime erano le spinte degli emigrati cubani, che erano riusciti a fuggire in Florida al momento della rivoluzione, e ora ambivano a rientrare al più presto, per riprendere possesso dei loro averi sull’isola.
Questa somma di motivi aveva scatenato all’interno della CIA una vera e propria “gara delle idee”, per chi suggerisse la migliore scusa per aggredire il barbuto ribelle senza apparire come dei brutali conquistatori agli occhi del mondo.
Uno di questi progetti, denominato “Baia dei Porci”, era stato messo a punto dal vicepresidente uscente Nixon, che contava di metterlo in atto non appena entrato alla Casa Bianca, l’anno seguente. Il progetto prevedeva che un gruppo di esuli cubani, dopo aver fallito uno sbarco armato su Cuba, avrebbe invocato l’aiuto degli americani, offrendo loro la classica scusa per lanciare l’offensiva armata e riconquistare l’isola.
Alla Casa Bianca invece ci andò Kennedy, ma il capo della CIA Allen Dulles decise comunque di presentargli il piano di invasione: in fondo, anche Kennedy aveva interesse a riconquistare l’isola, per motivi di prestigio. Dulles però non gli mostrò la parte del piano che prevedeva la richiesta di aiuto militare da parte degli esuli cubani, ed ottenne quindi con facilità l’approvazione del presidente, che in quel momento deve aver pensato: “Se gli esuli cubani riescono a riprendere l’isola tanto meglio per noi. Se non ci riescono, tanto peggio per loro”.
Invece, a poche ore dall’inizio dell’invasione, Kennedy si trovò di fronte alla richiesta ufficiale di aiuto da parte degli esuli, e solo in quel momento capì di essere stato ingannato da Allen Dulles. A quel punto Kennedy preferì fare una figuraccia davanti al mondo, riconoscendo di aver autorizzato un piano fallimentare, ma non diede l’autorizzazione all’intervento militare, per non rischiare uno scontro atomico con l’Unione Sovietica.
Appena la tempesta si fu calmata, Kennedy convocò Allen Dulles e lo licenziò in tronco.
Già da tempo, peraltro, Kennedy aveva manifestato la sua intenzione di smantellare completamente la CIA, che ormai operava autonomamente in politica estera, e di riportarla al suo ruolo originale di semplice agenzia di raccolta dati.
Nel frattempo Robert Kennedy, diventato ministro di giustizia, aveva deciso di fare guerra aperta al crimine organizzato. Bisogna sapere che fino a quel giorno per le forze dell’ordine la “mafia” ufficialmente non esisteva, e chi l’avesse solo nominata veniva immediatamente licenziato dai ranghi dell’FBI.
Il direttore dell’FBI Hoover, infatti, era da tempo ricattato dalla mafia, che era in possesso di una serie di fotografie in cui Hoover se la spassava a letto con il suo vice e amico inseparabile, Clyde Tolson. Avevano così trovato una formula del quieto vivere, nella quale Hoover ignorava l’esistenza stessa della mafia, in cambio della sua sopravvivenza politica.
Obbligare quindi Hoover a combattere apertamente la mafia, da parte di Robert Kennedy, significava metterlo fra l’incudine e il martello.
Per un pò Hoover riuscì a barcamenarsi, fingendo di condurre indagini che stranamente non andavano mai in porto, ma la spinta di Robert Kennedy era incontenibile: dopo aver convinto Joe Valachi a confessare, Kennedy era riuscito in un solo anno a far moltiplicare di 700 volte il numero di arresti fra i malavitosi.
Abbiamo quindi, da una parte, la bizzarra alleanza fra mafia e CIA per la riconquista di Cuba, e dall’altra la loro parallela insofferenza per la vistosa opera di demolizione intentata dai fratelli Kennedy nei confronti delle due organizzaioni.
Tutti i presupposti per una operazione congiunta di eliminazione del presidente (e quindi del fratello dal Ministero di Giustizia) esistevano già da quel momento.
C’era poi il cosiddetto complesso militare-industriale - termine coniato di recente dal presidente uscente Eisenhower - che già intravvedeva profitti miliardari grazie all’escalation militare in Vietnam. Ma Kennedy già dall’inizio del ‘63 parlava apertamente di ritirare l’appoggio militare USA al Vietnam, ed aveva fatto capire che l’operazione di rientro sarebbe scattata non appena avesse vinto la sua rielezione, nel 1964. Quasi a voler confermare le sue intenzioni, nel novembre ‘63 – poche settimane prima di morire - Kennedy aveva firmato un ordine presidenziale che prevedeva il rientro di un primo contingente di 1000 soldati americani entro il Natale di quell'anno.
Curiosamente, questo fu il primo ordine presidenziale che il neoeletto presidente Johnson fece annullare, 4 giorni dopo l’assassinio di John Kennedy. Da quel momento in poi, la storia del Vietnam cambiò direzione, e divenne la tragedia che tutti conosciamo.
Ma non erano solo i produttori di armi a vedere con preoccupazione la presidenza Kennedy. Tutto il mondo degli industriali era in subbuglio, da quando John Kennedy aveva preso di petto i produttori dell’acciaio, obbligandoli - dopo un braccio di ferro esasperante – a calmierare i prezzi dei loro prodotti invece di giocare al continuo rialzo. Che cosa sarebbe successo – si domandavano gli altri industriali - se un domani Kennedy si fosse messo in testa di regolare anche i prezzi del carbone, oppure quelli della carta, oppure del petrolio?
Ma ancora non bastava [segue estratto dal libro “L’altra Dallas”, pagg. 94,95]:
PER UN DOLLARO D’ARGENTO
Nonostante tutto, i due “rampolli inseperti” aveva scelto di non lasciare nulla di intentato, e provarono anche a colpire al cuore del problema. Il sistema bancario e monetario, controllato dalla Federal Reserve. Forse non tutti sanno che la Federal Reserve di “federale” abbia molto poco, e sia un normalissimo ente privato il cui indirizzo è reperibile sulle Pagine Gialle, poco più sotto di quello della Federal Express.
La questione del sistema monetario è talmente importante e complessa che non basterebbero dozzine libri per esulcerarla. Diciamo solo che grazie ad un vero e proprio “colpo di mano” politico, avvenuto a Washington nel 1913, un gruppo di banchieri privati (Rotschild, Morgan, Rockefeller, Carnegie) si impadronì del futuro di miliardi di esseri umani, essendo da quel giorno in grado di determinare a piacimento il loro standard di vita effettivo, da momenti di subitaneo benessere a crisi economiche di portata internazionale.
Il fatto che un governo come quello degli Stati Uniti debba dipendere dagli umori dei banchieri, per vedersi prestare dei soldi a tassi di interesse più o meno favorevoli, invece di poter stampare i propri a tasso zero, la dice lunga sulla collocazione del vero potere nel mondo occidentale.
Nè si tratta peraltro di un problema nato nel 1913. In quell’anno i banchieri riuscirono solo a finalizzare un tentativo di acquisizione del potere che durava ormai da oltre un secolo. Lo stesso presidente Lincoln aveva tentato di uscire dalla morsa crescente del credito privato, stampando i famosi “greenbacks”, o “verdoni” governativi, con cui aveva finanziato la guerra contro la Confederazione Sudista.
Ed è proprio al pericolo che Lincoln rappresentava per i banchieri, sulla loro strada di conquista del sistema monetario, che gli storici più attenti attribuiscono la sua morte, avvenuta per mano del solito “folle solitario”.
Anche Kennedy era diventato cosciente del problema, specialmente dopo una crisi monetaria dovuta al rapporto di scambio fra oro e dollaro, che negli anni precedenti aveva iniziato a oscillare pericolosamente, mettendo a rischio l’affidabilità della moneta americana sui mercati mondiali.
Senza grande clamore, nel giugno del 1963 Kennedy aveva firmato l’Executive Order 11110 (Decreto Presidenziale), che autorizzava il Ministero del Tesoro a stampare moneta per il valore di circa 4 miliardi di dollari, corrispondenti alle riserve di argento presenti in quel momento nelle casse statali.
In altre parole, avocando al governo il diritto di stampare la propria moneta, Kennedy avrebbe risparmiato alla nazione gli interessi richiesti dalla Federal Reserve per “prestare” i soldi agli americani, riducendo in quel modo drasticamente il debito pubblico.
Chi ci avrebbe rimesso naturalmente era chi fino a quel giorno aveva lucrato su quegli interessi.
Come dicevamo all’inizio, si può quindi puntare il dito in un arco di 360° gradi senza timore di sbagliare ad indicare l’assassino del presidente Kennedy (e poi di Robert Kennedy, che 5 anni dopo aveva promesso di riprendere la battaglia contro gli stessi nemici, se fosse stato eletto alla presidenza).
Anche per quel che riguarda l’esecuzione fisica dell’attentato, diversi aspetti sono ormai stati chiariti dai migliori ricercatori del caso Kennedy, ma non è questa la sede per entrare nel dettaglio. Diciamo solo che la CIA si occupò di coordinare l’operazione ai livelli politici più alti, soprattutto nei delicati contatti con i Servizi Segreti, la cui collaborazione era essenziale per riuscire ad uccidere il presidente, mentre la mafia lo avrebbe eseguito materialmente. Hoover sarebbe stato ben felice di fornire il miglior cover-up di tutta la sua carriera, da parte dell’FBI, mentre Johnson potè finalmente soddisfare la sua ambizione di diventare presidente.
Gli industriali, i banchieri e i guerrafondai avrebbero provveduto a portare lo champagne.
Massimo Mazzucco
NOTA: Questo articolo è necessariamente schematico e riduttivo. L’assassinio dei due fratelli Kennedy è uno degli eventi più complicati in assoluto della storia moderna, ed è impossibile riassumerlo in poche righe. Oltre al libro
“L’altra Dallas”, si può trovare molto materiale di supporto nel documentario “Evidence of Revision”, disponibile in rete.