Ormai è da diversi anni che i media tradizionali hanno ingaggiato la loro battaglia contro le presunte “fake news”.

Noi abbiamo già sottolineato diverse volte come molto spesso siano gli stessi media tradizionali a propagarle, ma non è questo lo scopo del presente articolo. Oggi vorrei provare a capire quello che succede nella testa del giornalista mainstream nel momento in cui scrive un articolo che denuncia le “fake news”.

Prendiamo ad esempio questo articolo comparso su Repubblica due giorni fa, intitolato "Sul sito di Repubblica nasce TrUE per combattere le fake news". Questo è l’incipit:

“Ad aprile sui siti di propaganda legati al Cremlino inizia a circolare la "notizia" secondo la quale il coronavirus sarebbe stato creato da Bill Gates per dominare il mondo”. Ora, io sfido chiunque a trovarmi un solo “sito di propaganda legato al Cremlino” che abbia detto che “Bill Gates ha creato il coronavirus per dominare il mondo”. Non esiste. Non lo troverete mai. Per il semplice motivo che a) “i siti di propaganda legati al Cremlino” esistono solo nella testa di chi ha scritto un articolo del genere. E b) nessuno ha mai semplificato in modo così rozzo il fatto che Bill Gates abbia creato un virus “per dominare il mondo”. Solo nei fumetti c’è il cattivo di turno che “vuole dominare il mondo”. Ma, appunto, è una semplificazione destinata al massimo ad impressionare la mente ancora ingenua di un ragazzino.

Nel mondo reale le cose sono leggermente più complesse, è questo l’articolista lo sa benissimo. Ma egli distorce e semplifica il suo discorso al massimo, proprio perché si rivolge al lato più ingenuo ed infantile della mente del lettore. Se infatti si prende l’intera frase e la sintetizza ancora di più, a livello subconscio esce quanto segue: “I cattivi (i russi) dicono che il nostro eroe vuole dominare il mondo. Ma questo non è possibile, perchè noi siamo i buoni, e agiamo sempre nel nome del bene e della giustizia universale”. Esattamente come nei fumetti: i buoni da una parte, i cattivi dall'altra.

Questo ricorso ai sintagmi più archetipici della nostra cultura rivela chiaramente due cose: uno, la palese malafede del giornalista, il quale sa benissimo che tramite la semplificazione si può aggirare la parte più ostica del discorso - quella del ragionamento logico - per arrivare direttamente agli strati del cervello che rispondono alle emozioni.

La seconda cosa che rivela la strategia del giornalista, è quella di presumere di partire sempre e comunque dal punto di vista di chi ha ragione. Quando si scrive la frase “migliaia di persone manifestano a Berlino e in altre città tedesche contro il tentativo di imporre una dittatura globale da parte del fondatore di Microsoft o, in alternativa, per mano di malevoli élite internazionali intenzionate a stabilire un Nuovo ordine globale” si dà già per scontato, nel sottotesto, che le “malevoli elite internazionali” non esistano.

Non si affronta quindi nemmeno minimamente l’ipotesi che queste elite esistano, ma si vuole indurre nel lettore un falso senso di sicurezza, nello scartare addirittura a priori questa possibilità.

Il giornalista in questione quindi, svolge lo stesso identico ruolo del debunker, il cui ruolo ultimo è quello di fungere da “grande tranquillizzatore” della società.

Nel tentativo di preservare il proprio potere - quello di “gestire” l’informazione in modo unilaterale, dall’alto verso il basso - il giornalista mainstream ricade nella stessa fallacia alla quale ricorrono regolarmente i debunker: quella di negare a priori qualunque ipotesi che possa risultare destabilizzante per la nostra società, e possa in qualunque modo mettere a rischio il potere vigente.

Debunker e giornalista mainstream sono, ciascuno a modo loro, i cani da guardia del potere.

Massimo Mazzucco