LA SCOMMESSA IMPOSSIBILE

di Massimo Mazzucco

21-05.04 - Ve lo immaginate voi un Berlusconi, che annuncia che come vice-premier, se vincerà le elezioni, vorrà al suo fianco D’Alema?

Ecco, ultimamente a Washington gira una scommessa: quando a John Kerry toccherà annunciare il suo prescelto per la vice-presidenza, indicherà il senatore John McCain. Il quale è un politico tutto d’un pezzo (qui già il parallelo con d'Alema traballa), che ha però il piccolo difetto di essere un esponente di punta del partito repubblicano.

In teoria, la costituzione americana non impone restrizioni di alcun tipo al candidato per la vice-presidenza, se non le stesse che impone al presidente: nazionalità, fedina penale pulita, età superiore ai 25, e l’essere nato su suolo americano (cosa che rode da morire a Schwartznegger, perchè la alpi austriache non sono ancora state conquistate dai Gi-Joe del Pentagono).

Ma perchè mai una scelta così illogica? Perchè in realtà illogica non lo è affatto. Anzi ...
... è talmente logica che rischia di imporsi contro ogni aspettativa più tradizionale.

Innanzitutto, bisogna tener presente che fino all’altro ieri, nella storia americana, il vice presidente era praticamente un manichino che veniva tenuto in naftalina, nel caso il presidente venisse accoppato. Cosa su cui poi si tenevano incriociate le dita per quattro anni, quando si scopriva che il vice prescelto era davvero un manichino, scelto magari per accontentare un’ala del partito, o per altri motivi che comunque con la diretta gestione del potere avevano ben poco a che fare. Noto il caso di Dan Quayle (“La Quaglia”), ad esempio, che ha fatto da vice al papà di Bush dall’ 88 al ‘92, e che forse solo oggi ha cominciato a capire che è lui quello delle fotografie accanto al famoso presidente. Oppure il caso di Gerry Ford, al quale è toccato il compito di rimpiazzare un Nixon dimissionario, solo per passare alla storia per “non essere in grado di pensare e di masticare la gomma americana nello stesso momento”. (E a giudicare dalla sua presidenza, lui della gomma americana non poteva proprio farne a meno).

Ma i tempi, con Clinton e Gore, hanno iniziato a cambiare. Al Gore è stato il primo a esser visto in giro per il mondo da solo – Francia e Russia soprattutto - a fare ufficialmente gli affari del presidente (che pensava poi sarebbero diventati anche i suoi, fra l’altro).

Con Cheney poi c’è stato addirittura il rovesciamento paradossale dei ruoli: la battuta che gira, tanto per farla breve, è “Avete notato come Bush smetta subito di parlare, appena Cheney beve un sorso d’acqua?” E quando c’era da gestire le delicate ore dopo il crollo delle torri, il buon George è stato prima mandato in Florida dal fratello, e poi tenuto prudentemente lontano dai bottoni di comando fino a notte inoltrata. Alla Casa Bianca, a dirigere le operazioni in quelle ore cruciali, c’erano Cheney e Condolezza Rice. (E’ lei, a sua volta, la vera vicepresidente).

Ma a parte la triste realtà del presidente burattino, ormai la percezione del ruolo del vice, nel pubblico americano, è cambiata in maniera irreversibile. Ed è anche più giusto che sia così, dopotutto: perchè mettersi un manichino nell’armadio, quando puoi avere uno, efficiente quanto te, che si sobbarca almeno una parte della fatica?

Ma “sobbarcarsi”, in termimi politici, significa anche fare delle scelte. Ed è qui che molti storcono il naso di fronte alla bizzarra ipotesi di un tandem Kerry-McCain, poichè di certo il senatore repubblicano non accetterebbe di fare da semplice fermacarte per John Kerry.

Vediamo un pò più da vicino chi è questo McCain.

Prima di tutto, è l’uomo che quattro anni fa ha fatto tremare George Bush, che per causa sua ha rischiato di non vincere nemmeno la nomination repubblicana. Emerso a sorpresa dai ranghi – esattamente come è stato per Dean con Kerry quest’anno – con una proposta economica davvero interessante, McCain ha preso un vantaggio iniziale notevole, portandosi a casa un paio di primarie importanti. E solo quando la potente macchina pubblicitaria di famiglia (intesa come lobby dei petrolieri e dei fabbricanti di macchine da guerra) ha fatto sentire tutto il suo peso sulla campagna elettorale, Mc Cain ha dovuto concedere di non avere il fiato (milioni di dollari) per arrivare fino in fondo. Non a caso è stato lui, in seguito, il promotore di una riforma che cercava di limitare in qualche modo lo strapotere delle multinazionali nel finanziare le campagne elettorali.

E proprio qui arriva la prima sorpresa da McCain: lo sapete chi era il co-firmatario di quella proposta di legge? Ted Kennedy, il più potente spauracchio liberal di tutti questi ultimi anni per la congrega cristiano-repubblicana.

Un “trasversale” per natura, quindi? No, è casomai la natura stessa della politica americana che prevede, permette, ed anzi incoraggia, la trasversalità del singolo. A dimostrazione infatti che non si combattono due ideologie assolute (come ad esempio da noi, negli anni ’60 - ’70, con capitalisno e socialismo), ma due diverse e complesse strategie socio-economiche, capita spessissimo di vedere incroci tanto sorprendenti quanto benefici.

(Va detto che anche da noi, da quando c’è il maggioritario, la trasversalità comincia a prender piede, ma noi la interpretiamo in senso un pò troppo letterale, cioè di mettere la gamba di traverso per fare lo sgambetto a qualcuno, invece che di mettersi d’accordo su un qualsivoglia bene comune).

Un’altra caratteristica di McCain, che peserebbe non poco sul “ticket” presidenziale, sono i ben 5 anni passati in una prigione vietnamita. Mentre la mascella sinistra porta chiari i segni di una pesante ricostruzione chirurgica, fatta in seguito all’esplosione di una granata.

Certo che ve li vedete, alla elezioni, da una parte uno che ha sopravvissuto alle carceri vietnamite dopo essersi preso una granata in bocca, l’altro decorato al valor militare (foto) per aver salvato la vita ad un commilitone, messi di fianco a due imboscati, Bush e Cheney, che non hanno fatto un solo giorno di leva in due? (Tiè, così imparate a dire che “siamo in guerra” con tutto il mondo, fra l’altro).

Terzo elemento a favore: McCain e Kerry sono amici di vecchia data. Amici veri, non di quelli che giocano a golf la domenica. Amici che insieme, molti anni fa, hanno fatto passare una legge apposta per andare a cercare tutti i prigionieri di guerra che l’America si era lasciata indietro in Indocina.

A questo punto qualcuno dirà: ma allora, che cavolo ci fa McCain fra i repubblicani?

Purtroppo, Mc Cain è un repubblicano vero - in senso socio-economico - e le sue visioni su tutto quello che riguarda tasse, ingerenza dello stato federale negli affari dei singoli stati, eccetera, sono abbastanza diverse da quelle dell’amico democratico.

Ma c’è ampio spazio sia per mettersi d’accordo, sia per far capire all’America che qualunque compromesso raggiugessero quei due, sarebbe millle volte meglio di un’altra maledizione quaternaria Bush e Cheney.

Sempre a sfavore non va nemmeno dimenticata – perchè verrebbe di sicuro usata in maniera strumentale dalla destra cristiana – la ferma opposizione che da sempre Mc Cain ha espresso rispetto all’aborto. E questo non solo è un argomento fondamentale in tutti gli Stati Uniti, ma gli americani sono gente che per votare non si impone certo tutti i tormenti filosofico-psichiatrici che ci imponiamo noi: fa una breve lista di cosa gli viene in tasca se vince questo o quello – aborto sì, pena di morte no, più tasse, meno assicurazioni, più campi da golf, meno ore sotto il tornio – poi vota e torna al lavorare senza pensarci più per quattro anni.

In conclusione, l’ipotesi Kerry-McCain, che è in ultima analisi una scelta “intelligente”, dipenderà anche molto dalla valutazione che i due daranno sulla capacità dell’elettorato di “capirla” nel modo giusto. E a quel punto  potrebbero anche azzardare una mossa che rischia di vedere i due portarsi a casa il novanta per cento secco dei voti di Novembre.

Senza bisogno che la Corte Suprema riconteggi più un bel niente, questa volta.

Massimo Mazzucco