[b]LETTERA AL DIRETTORE DI "LA STAMPA" - non pubblicata - in occasione del rientro in Italia dei Savoia, presentato in maniera decisamente accomodante da Pierangelo Sapegno ("OGGI") il 18.6.03[/b][img align=right]library/savoia.jpg[/img] di Fernanda Alene Egregio Direttore: In quella lontana Torino del 1930 di cui ci parla Sapegno, io già giravo aggrappata alle gonne di mia madre, mentre aspettavo con ansia il mio secondo compleanno. In quella città sono poi cresciuta, e vi ho trascorso anche la maggior parte della mia vita. E di ciò che sostiene Sapegno, speciamente riguardo al carattere dei torinesi, non posso che sottoscrivere ogni singola parola. Ciò su cui non sono d'accordo, però, è che l'innegabile disinteresse con cui i torinesi stanno accogliendo la visita dei Savoia tolga peso - come pare invece suggerire in ultima analisi l'articolo - al fatto che regione, provincia e sindaco abbiano scelto di riceverli ufficialmente, ciascuno con manifestazioni separate. Certo, i vari inviti sono stati rivolti ai Savoia esclusivamente come "ex-cittadini" tornati al sol natìo (più noti magari alle cronache di certi minatori che rientrano ad invecchiare dopo aver lasciato braccia e polmoni in Scozia), e non come "ex-regnanti", eredi di medesimi, o figure con valenza storica di alcun tipo. Ma "la dignità e l'orgoglio" che lo stesso Sapegno citava, si ribellano ora in me nell'accettare questo fragile e ipocrita distinguo, che nulla toglie invece alla sostanza del caso: le città, provincia e regione di uno stato che è stato tradito e abbandonato dal loro re nel momento di maggior bisogno (e questo lo saprebbe certo spiegare Sapegno meglio di me) ne accolgono ora festante gli eredi, in forma ufficiale, ed a spese inoltre - ironia delle ironie - di quegli stessi cittadini che videro morire i loro cari nella furibonda lotta civile che quel tradimento scatenò. Sarà anche difendibile, tecnicamente, la scelta della nostre autorità di onorare i Savoia come hanno fatto, ma un minimo di senso storico, civile, e soprattutto umano, avrebbe certo consigliato altrimenti. Fernanda Alene Articolo originale OGGI - di Pierangelo Sapegno (La Stampa 18.6.03) E’ passato tanto tempo, a Torino, e siamo tutti così diversi. Oggi come ieri, è successa la stessa cosa: i Savoia sono tornati nella loro città. Però, è cambiato tutto il resto. Quella volta, era il 2 febbraio 1930, Umberto e Maria José rimettevano piede e cuore a Torino, freschi di nozze romane. Faceva freddo, gli spalatori avevano tolto la neve dalle strade. Ma la folla spingeva per veder passare il corteo. Le cronache raccontano che erano decine di migliaia. C’erano le luminarie. La gente applaudiva felice. Ieri, al Principi di Piemonte, quando sono arrivati Vittorio Emanuele e Marina Doria, c’erano dodici affezionati lì davanti, qualche commessa che sbirciava da dietro il vestitino e tre impiegati che si chiamavano da una finestra. Pioveva come capita qui. Pigramente. Sono passati 75 anni da quella domenica nevosa, e tante cose non ci sono più. Allora i Savoia regnavano. Oggi, invece, sono rientrati dall’esilio. Oggi come allora, però, ritornavano nella città delle origini dopo averla abbandonata. Quella domenica di 75 anni fa, Torino fece festa per dimostrare l’antica fedeltà sabauda. Adesso è come una bella signora che rivede il suo ex innamorato, con un po’ di distacco. Conta qualcosa che i Savoia siano venuti a Torino soltanto dopo essere già stati in Vaticano, a Napoli, a Roma, e in giro per rally. L’effetto ritorno è già smosciato. E conta anche forse che nelle sue dichiarazioni d’affetto verso l’Italia Vittorio Emanuele non abbia mai messo Torino nei posti privilegiati. Ma quello che conta di più è come è fatta questa città. Andranno a salutarli, e saranno molto gentili. Non faranno confusione, se possibile. Difficilmente si spelleranno le mani. Lo chiamano understatement. Sono fatti così. Questa è una città che bisogna capirla. Riempiono la piazza se il Toro va in B e poi fanno appena due salti se la Juve vince lo scudetto. La dignità, l’orgoglio, qui hanno più valore del successo. E quando vincono cercano di non gridarlo troppo. I Savoia tutto questo lo sapranno bene.