L’agenda dei politically correct continua a macinare il mondo delle persone normali.

Oggi tocca alla Disney, che proprio nei giorni della riapertura di Disneyland si trova a dover apportare una serie di modifiche ai loro “percorsi tematici” di intrattenimento, a causa della pressione del mondo PC.

Fino a ieri, il percorso di “Biancaneve e i sette nani” terminava con l’iconica scena del bacio del principe, che risveglia Biancaneve addormentata.

Da oggi questo non va più bene, "perché - sostengono i PC - durante quel bacio lei non è consenziente, e quindi non può essere vero amore”. “Non dobbiamo insegnare ai bambini – dicono costoro - che si può baciare una persona non consenziente, altrimenti si apre la strada alla violenza carnale”.

E così a Disneyland la scena finale del bacio sarà sostituita con quella della morte della strega maligna.

 Anche il percorso di “Splash Mountain” dovrà essere completamente rifatto, perché le scenografie contengono il personaggio di Uncle Remus, che nel film “Song of the South” è un nero che lavora in una piantagione di cotone. Lo stesso percorso verrà sostituito dalla scenografia prese invece dal film “La principessa e il ranocchio”, un film del 2009 nel quale la principessa è di colore.

Ma non basta. Anche il percorso “Crociera nella Giungla” verrà completamente rifatto, perché fra i tanti animali che accompagnano lo spettatore si possono vedere ogni tanto anche degli indigeni.

A questo punto, è perfettamente inutile scandalizzarsi per questa follia tanto evidente quanto fastidiosa. Si tratta casomai di capire da dove possa avere origine questo desiderio profondo degli americani di negare in tutti i modi il loro passato.

Perché se ci si illude che basti togliere Uncle Remus dal percorso di Disneyland per cancellare il razzismo, bisogna riconoscere che siamo di fronte ad un popolo di malati mentali, che non riuscirà mai a superare il proprio passato proprio perché non è capace di confrontarsi con esso.

Oppure i motivi sono altri, ma a questo punto, sinceramente, mi sfuggono.

Massimo Mazzucco

USA TODAY 1, 2