di Federico Giovannini

Molto spesso alle conferenze di coloro che cercano di darci una visione (aimè sovente sconfortante) del mondo, nei luoghi anche virtuali dove si dibatte dei problemi del nostro sociale, rivolgiamo sempre la solita domanda: Cosa fare? (in questo scenario, in questa situazione, ecc.).

Attualmente una delle risposte più sensate è quella della difesa del proprio territorio. Giulietto Chiesa prendeva come emblematica la difesa dei valsusini del loro territorio contro quell’opera devastante per loro terra che è la TAV. Man mano, grazie anche ai contribuiti di altri autori, si è capito che “il territorio” deve essere considerato in senso allargato e quindi il territorio diventa un concetto più esteso rispetto alla semplice idea di luogo fisico e si parla quindi della difesa della salute, la difesa dei propri pensieri (e quindi dell’istruzione) e della difesa anche di quella che è la nostra esistenza in uno spazio tutto nuovo e privo ancora di regole minimamente eque e democratiche che è il cyberspazio.

Solo per definire quello che è un concetto ancora poco messo a fuoco: il fatto che passiamo buona parte del nostro tempo a scrivere, mandare foto, relazionarci, lavorare sulla rete internet automaticamente rende tale “luogo” un posto da difendere dagli attacchi ormai sempre meno sottili e sempre più brutali del “sistema” (spesso viene definito così questa dittatura dell’élite dominanti che ormai domina incontrastata il mondo).

La difesa del territorio tuttavia, anche in senso lato, non è sufficiente a delineare con chiarezza la linea di condotta necessaria, occorre approfondire il “perché” e il “come”, in quanto non sono affatto cose scontate.

Cosa significa esattamente “difendere” il proprio territorio reale o virtuale che sia? Difendere la propria salute? Difendere i propri pensieri?

Difendere questi luoghi consiste nel esercitare la propria sovranità e non quella dell’autorità oggi rappresentata da un sistema neoliberista con a capo i così detti (per brevità) “padroni universali” (o più ironicamente “padroni del vapore”). Il libero arbitrio, di biblica memoria, altro non è che l’esercizio della sovranità che può anche essere chiamato “autodeterminazione”.

Quindi si comincia a delineare con più chiarezza che questa “difesa del territorio” in realtà si potrebbe più chiaramente intendere come l’esercizio della propria sovranità, ovvero anche come l’esercizio del libero arbitrio. Se si rinuncia a tale esercizio e si lascia che anche il proprio mondo vada come dice qualcun altro tanto vale mettersi comodi, prendere la pillola blu e godersi da spettatori passivi questa vita che guarda caso somiglia sempre di più a un programma televisivo. È una scelta anche questa, e nessuno può compierla per nessun altro. Il problema che ci si pone oggi è che molti hanno scelto invece la pillola rossa ma non sanno cosa fare, né tantomeno come farlo e alternano stati depressivi e atteggiamenti rinunciatari.

Siamo quindi giunti al compimento di una prima scelta che non può che essere individuale: chi decide per la nostra salute? Chi decide per la nostra casa? Chi decide per il nostro spazio virtuale? Chi decide per la nostra nazione? Se la risposta a queste domande è che lo decidiamo noi stessi, abbiamo già risposto alla prima di queste domande, da questo momento in poi occorre prendersi la responsabilità di quello che significa l’esercizio del nostro libero arbitrio che applicato a un territorio diventa l’esercizio della nostra sovranità.

Una volta scelta la strada della sovranità occorre capire che tale via non si può percorrere senza la “responsabilità” e qui cominciano ad arrivare i dolori. Se si vuole essere responsabili per la propria salute facilmente si capisce che bisogna informarsi prima di affidarsi (quello che fanno tutti i genitori freevax) ed essere disposti a far valere le proprie scelte a ogni costo. Ma per tutte le altre forme di sovranità come fare? Sono praticamente tutti argomenti più grandi del singolo di fronte ai quali da soli non possiamo fare nulla. Come difendere il proprio spazio web che è in mano a giganti privati? Come difendere i propri pensieri, inteso nel senso dell’istruzione, quando la scuola e le università sono in mano ai padroni del vapore che ne dispongono a loro piacimento? Come difendere la propria nazione (parlo in particolare dell’Italia visto che è la mia patria ma il discorso vale per qualunque altra) quando è all’interno di un territorio ancora più grande controllato dai soli noti?

Siamo di fronte a un secondo dilemma, una seconda scelta che arrivati a questo punto è una scelta praticamente obbligata come suggerisce Mauro Scardovelli.

Fino ad oggi l’uomo ha vissuto nel paradigma della competizione e dell’antagonismo. Il neoliberismo è la massima espressione dell’ideologia portante di questo modo di vivere. “Mors tua vita mea” è un concetto che risale alla notte dei tempi ma altrettanto da sempre gli uomini sanno che per realizzare grandi progetti si sono dovuti unire, hanno dovuto cooperare. Tuttavia, Intriso di competizione e antagonismo fino al midollo l’umanità ha sempre inteso questa cooperazione “contro” qualcuno, si è unito in pratica per fare fuori un nemico comune. Anche le rivoluzioni più “giuste” si sono unite sotto la bandiera del “contro”. Tra una guerra e un'altra l’uomo ha costruito grandi cose e portato a compimento grandi imprese tutte sempre frutto della cooperazione e collaborazione tra le persone. Di questa cosa l’uomo non è molto consapevole e usa questo strumento potentissimo sovente, potremmo dire, solo per far danni a qualcun altro.

Nel momento in cui siamo tutti su un territorio, per difenderlo, viene da sé che dobbiamo collaborare e cooperare e non combatterci a vicenda competendo gli uni con gli altri nel paradigma neoliberista del “libero mercato”. Se c’è una cosa senza senso che fa l’uomo (praticamente da malato psichiatrico) è quella di competere per dei pezzi di carta che vengono stampati dall’uomo stesso. Una volta compreso che la competizione e l’antagonismo sono le strutture portanti di questo sistema sociale non vi è che solo una e una sola risposta al “come” esercitare la nostra sovranità: collaborare e cooperare sono i modelli pensiero che dobbiamo adottare al posto di quelli di competizione ed antagonismo.

Quindi domandiamoci ancora una volta: “cosa fare”?

In forza di tutto il ragionamento fin qui esposto la risposta sintetica è guarda caso da ricercare nell’articolo 1 della costituzione italiana che recita:” La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Occorre quindi scegliere di esercitare il libero arbitrio (sovranità) per le scelte di territorio personale (il proprio corpo) e non lasciarlo ad altri. Occorre cooperare con gli altri di noi per esercitare insieme questa sovranità per i territori in comune, sovvertendo il paradigma della “competizione” sostituendolo una volta per tutte con quello della “collaborazione” che non sia “contro” qualcuno ma che sia “a favore” di un comune obbiettivo. La parte più difficile di questo processo inizia da noi stessi, ovvero dal sostituire dalla nostra mente, e forse ancora di più dal nostro cuore, quei modelli perniciosi di antagonismo e competizione che contraddistinguono il modello attuale di comportamento sociale detto “neoliberista” con quelli di collaborazione e cooperazione necessari per un mondo nuovo. Occorre farsi portatori in prima persona di questo esempio nel mondo, perché di gente che parla bene e razzola male ne è pieno il mondo visto che è una tecnica molto diffusa per infinocchiare il prossimo.

Occorre un nuovo umanesimo per dirla come la mette Marco Guzzi.

Claudio Messora con Byoblu, Mauro Scardovelli con Unialeph e tanti altri stanno remando della direzione dell’aggregazione e della cooperazione tra individui. Diversi altri autori insieme a loro si prodigano per un’informazione alternativa che si sta facendo carico dell’immane sforzo di denunciare le menzogne del mainstream, che quotidianamente si preoccupa solo di fare propaganda neoliberista invece di fare il lavoro per cui era stato concepito, per difendere così la possibilità di noi tutti ad avere un pensiero critico e non appiattito e stereotipato.

È imperativo comprendere che non siamo soli, occorre riallacciare i rapporti umani diretti, ricostituire quel tessuto sociale dal basso indispensabile per coordinare gli sforzi comuni, per compattarci e coordinarci. Solo in questo modo potremmo attuare tutti quei pensieri, quelle decisioni e quei rimedi che serviranno a realizzare il nostro libero arbitrio e la nostra sovranità attraverso un nuovo modello di comportamento che sarà non solo un inizio, ma anche l’esempio da trasmettere agli altri così da far diventare la cooperazione e la solidarietà, prima dei valori, e poi dei concreti strumenti realmente rivoluzionari.