Dopo lo shock mattutino, che ha regalato al mondo una imprevista uscita della Gran Bretagna dall'Europa, tutti gli europeisti più convinti (in mala o buona fede che siano) hanno dedicato la giornata a metabolizzare questa fragorosa legnata sui denti.

Il risultato di questa metabolizzazione si può riassumere in due diverse correnti di pensiero: la prima dice, sostanzialmente, che "l'Europa deve cambiare se non vuole morire". Questo ovviamente non significa nulla, perché l'Europa per come è stata costruita, con un Parlamento senza alcun reale potere esecutivo, non sarà mai in grado di modificare se stessa. E' stata creata apposta come una gabbia per convogliare e controllare i consensi, e quello dell' "Europa che deve cambiare" è soltanto lo slogan disperato di coloro che si rendono conto che il loro "sogno europeo" ha ormai imboccato la china del tramonto.

La seconda corrente di pensiero invece è molto più interessante, poiché era più difficile da prevedere: c'è infatti un diffuso senso di insoddisfazione - o quasi di rancore, si potrebbe dire - verso "le masse che non sono in grado di decidere".

Questo concetto è stato espresso, con diverse sfumature, da molti di coloro che hanno partecipato ieri alle varie trasmissioni televisive. [...]

Il capro espiatorio di questo presunto "errore" è naturalmente lo stesso Cameron, l'uomo che pur di essere rieletto aveva promesso al suo popolo un referendum sulla permanenza in Europa. Il rancore contro Cameron non è soltanto stato espresso da personaggi come Mario Monti (cosa più che prevedibile, nel suo caso), ma anche da semplici giornalisti come ad esempio Beppe Severgnini. Durante la trasmissione di Lilli Gruber, infatti, l'editorialista del Corriere ha gettato la maschera dell'imparzialità ed ha dichiarato apertamente che il popolo inglese non andava lasciato votare "su una questione così complessa e delicata come l'uscita dall'Europa", perché il popolo non è pronto a fare scelte di tale importanza.

Il popolo può fare i referendum - ha detto sostanzialmente Severgnini - finché si tratta di scegliere sull'acqua pubblica, oppure sull'abolizione di una certa legge, ma le cose più complicate, come appunto un'eventuale uscita dall'Europa, andrebbero lasciate "a chi se ne intende". Ovvero - secondo lui - agli stessi euro-tecnocrati che questo grande pasticcio l'hanno creato.

Sulle stesse corde, anche se non ha parlato apertamente di "ignoranza popolare", si è ritrovato anche Antonio Padellaro, ex-direttore del Fatto Quotidiano.

Insomma, il sentimento diffuso, fra coloro che si sentono sconfitti dal risultato del referendum, è che "la prossima volta bisogna stare molto più attenti, prima di mettere in mano al 'popolo bue' scelte di radicale importanza come la struttura dell'unione europea."

Naturalmente, tutte queste persone accettano ben volentieri il voto del "popolo bue" quando questo si reca alle urne, chiude gli occhi e mette una crocetta su un partito a caso, lasciando poi a questo partito di decidere chi e come andrà a rappresentarlo nelle varie sedi parlamentari. Ma se per caso il popolo bue decide di prendere in mano direttamente le sorti del proprio destino, allora questo non va più bene, "perché il popolo non è preparato".

Insomma, a questi personaggi la democrazia va bene soltanto finché la gente vota come fa piacere a loro.

Massimo Mazzucco