Ieri ho visto Apollo 18. E' un film estremamante interessante, dal punto di vista del linguaggio.

Mentre le missioni ufficiali della NASA sulla luna si sono fermate ad Apollo 17, il film ipotizza che ci sia stata in seguito una missione segreta - la 18 appunto - di cui nessuno ha mai saputo niente.

In questa missione, gli astronauti americani arrivano al polo sud della luna, solo per scoprire che sono stati preceduti dai russi. In un cratere poco lontano infatti gli astronauti trovano una navicella sovietica abbandonata. A pochi metri di distanza giacciono i resti di un cosmonauta, che deve essere morto in modo violento, a giudicare dalle tracce di sangue che si trovano nella sua navicella.

Andando avanti nella storia, si scopre che la luna è abitata da strane forme di vita, che dimorano all'interno delle rocce lunari, solo per esplodere di colpo e aggredire gli esseri umani. Gli stessi astronauti americani vengono attaccati da queste forme aliene, e muoiono tutti senza poter fare ritorno sulla terra.

Di per sè la trama è abbastanza banale, ma ciò che è interessante del film è il linguaggio visivo. Invece di utilizzare le classiche riprese a grande schermo, ben illuminate e inquadrate alla perfezione, gli autori hanno scelto di imitare lo stile amatoriale e la bassa qualità delle riprese originali della NASA. Ovvero, hanno replicato alla perfezione i filmati in 16 millimetri e le riprese video delle missioni NASA da Apollo 11 ad Apollo 17. Comprese le scolorazioni, le sovraesposizioni, le inquadrature mosse e imprecise, i salti e le disconnessioni del segnale video.

E così noi vediamo gli astronauti, all'interno della navicella, ripresi con un grandangolo come se fosse una telecamera piazzata davvero all'interno del LEM. Anche la qualità della luce è quella - scadente - della luce naturale. Sembra insomma di assistere ad una diretta dalla luna, esattamente uguale a quelle a cui ci avevano abituato le missioni Apollo.

Ed è qui che scatta il meccanismo della fiction nella fiction: proprio perchè noi siamo abituati a considerare "vere" le riprese originali (che lo fossero ci sono dei forti dubbi, ma la nostra memoria visiva ci ha abituato a percepirle come vere), il film Apollo 18 acquista una credibilità enorme, e con essa naturalmente aumenta anche l'impatto emotivo.

In altre parole, quello che sarebbe stato un banalissimo B-movie con gli alieni che schizzano fuori dalle rocce lunari diventa di colpo un film assolutamente credibile ed emozionante, proprio perchè utilizza lo stesso linguaggio visivo di quello che noi siamo abituati a considerare "realtà avvenuta".

Lo stesso meccanismo si ripete anche con le riprese all'esterno del LEM, sulla superficie lunare: utilizzando gli stessi fondali, le stesse colline e la stessa identica morfologia delle rocce che abbiamo visto mille volte nelle immagini delle missioni Apollo, noi siamo inconsciamente portati a credere che "siamo veramente sulla luna", perchè l'ambientazione "è esattamente quella che già conosciamo".

Abbiamo quindi un esperimento stupefacente dal punto di vista del linguaggio: una volta stabilito che una certa cosa è "vera" nell'immaginario popolare, è sufficiente replicare quella "verità" (che invece è assolutamente relativa) per dare credibilità a quello che è un banalissimo pezzo di fiction.

Una volta stabilito che la fiction è reale, anche una fiction all'interno di quella fiction diventa assolutamente reale. Non è la realtà oggettiva a fare da parametro, è la nostra mente a farlo.

Massimo Mazzucco