di Maria Antonietta Pirrigheddu (attivista del Coordinamento Gallura contro la speculazione eolica e fotovoltaica)

Stavolta il solito ritornello “Ce lo chiede l’Europa” può andare a farsi benedire. L’Europa, infatti, ci chiede l’esatto contrario. Ma noi siamo italiani, facciamo a modo nostro e i ritornelli li usiamo quando ci conviene. Soprattutto se si tratta della Sardegna.

Già, la Sardegna, questa terra un tempo meravigliosa che nel giro di un paio d’anni probabilmente non esisterà più: l’intento è di trasformarla in un polo industriale, destinato a produrre energia elettrica da trasportare chissà dove.

Questi sono i programmi per noi, per il nostro sviluppo. E per salvare la terra dal cambiamento climatico. Eh sì, perché a quanto pare per salvare la terra è necessario smettere di coltivarla, togliercela e consegnarla alle multinazionali. Così il pianeta sarà salvo.

Per capire cosa sta accadendo dobbiamo partire dall’inizio, dalla cosiddetta Transizione energetica. Ovvero la necessità sacrosanta, che nessuno contesta, di smettere di utilizzare combustibili fossili come carbone e metano per la produzione di energia elettrica e transitare verso “fonti rinnovabili” come il sole, il vento e l’acqua.

 

L’Europa si è proposta di arrivare alla totale decarbonizzazione entro il 2050, passando per vari step. Il primo step ci attende nel 2030, quando l’Italia dovrà installare sull’intero suolo nazionale una potenza di 70 Gigawatt per la produzione da fonti rinnovabili.

Ora, 70 diviso 20 regioni fa 3,5 Gigawatt a testa… Ma siccome noi sardi siamo notoriamente generosi e avvezzi ad essere colonizzati, la bozza del decreto nazionale ce ne assegna 6. E questo nonostante produciamo già molta più energia di quanta ne consumiamo.

Però sta succedendo una cosa strana: invece di prepararci ai 6 Gigawatt per il 2030, ci ritroviamo già oggi con quasi 58 Gigawatt pronti da installare. Quasi dieci volte tanto!

Grazie al famigerato decreto Draghi e a causa di delibere indegne firmate dalla Regione Sardegna negli ultimi anni, sono arrivate qui come avvoltoi aziende e multinazionali da ogni parte del mondo, per spartirsi la nostra terra e piazzarvi i loro impianti colossali.

Si è stabilito che i due terzi della nostra Isola possano essere sventrati, perforati, riempiti di cemento, devastati, depredati. I due terzi del nostro suolo possono essere sottratti all’agricoltura, alle aziende agro-pastorali, alle aziende turistiche e agrituristiche, ai nostri progetti, al nostro futuro, a noi.

Non per darci opportunità ma per toglierci ogni opportunità.

Ad oggi le richieste di allaccio sono 809, ma crescono di giorno in giorno. Se le pratiche presentate andassero in porto, verrebbero impiantate sulla terraferma 3.000 turbine eoliche alte fino a 240 metri (da sommarsi alle 1.200 già esistenti), altre 1.300 turbine di 320 metri davanti alle spiagge, visibilissime anche a decine di km di distanza, e quasi 50 km2 di pannelli solari su campi e pascoli. A tutto ciò dobbiamo aggiungere le innumerevoli autorizzazioni già concesse!

Numeri da far accapponare la pelle. Solo per il foto e agrivoltaico, quasi 50.000 nuovi ettari verrebbero sottratti alle nostre attività e ai nostri paesaggi per riempirli di specchi di silicio, che nel giro di due decenni (o ancor prima se dovesse arrivare qualche grandinata) si trasformerebbero in sconfinate discariche a cielo aperto. Eppure l’Europa ci raccomanda di evitare ulteriore consumo di suolo, un bene primario essenziale per contrastare i cambiamenti climatici.

Su tutto questo, migliaia di tralicci alti 49 metri con infiniti km di fili sospesi.

Ora immaginatela, questa immensa landa industriale in cui saremmo costretti a vivere, con il terribile ronzio che ci accompagnerebbe giorno e notte. Immaginatevi le migliaia di luci rosse intermittenti che cancellerebbero le nostre notti stellate… Quelle notti e quel silenzio che fanno della Sardegna una terra celebrata ovunque, e che noi non avremmo più.

Se tutto ciò dovesse realizzarsi – e sta già accadendo – la Sardegna sarà irrimediabilmente sconvolta nei suoi panorami unici, nella biodiversità, nella ricchezza naturale, storica, archeologica, culturale e identitaria.

A fronte di quali vantaggi?

Per noi non è contemplato alcun risparmio in bolletta né, tanto meno, alcuna compensazione in denaro, ora vietato per legge. Sono previsti solo “interventi di miglioramento ambientale”.

Cioè?

Di solito il miglioramento consiste nel ripristino delle strade distrutte per il trasporto delle enormi pale. Talvolta i progettisti sono più premurosi, arrivando addirittura a costruire, in cambio dei territori violentati, graziose siepi oppure altalene e scivoli per bambini. O noccioleti per la produzione di nutelle. Verremo ripagati anche con “campagne di sensibilizzazione per il cittadino”, per persuaderlo della bontà degli atti speculativi.

D’altronde gli europei di un tempo, quando andavano a colonizzare l’America latina, si conquistavano la fiducia degli indigeni regalando collanine e altre cianfrusaglie. Il sistema è identico.

Per loro, invece?

Da 900.000 a 1.200.000 euro all’anno per ogni turbina eolica! Cifre anche maggiori per quelle in mare.

Oltre al danno la beffa: una parte di questo milione esce dalle nostre tasche, perché gli incentivi, magnanimamente concessi dal Governo italiano, vengono prelevati dalle bollette. In pratica lo Stato prende i nostri soldi e li dona agli speculatori che sbarcano qui, come la famosa JP Morgan. Non è fantastico?

Tra 25-30 anni questi impianti saranno già arrivati a fine vita, salvo incidenti nel frattempo. Chi provvederà allo smaltimento?

Certamente non le ditte installatrici: in molti casi si tratta di aziende con 10.000 euro di capitale sociale, magari organizzate in un sistema di scatole cinesi, che falliscono o spariscono presto. Chi subentra non si sente affatto in dovere di onorare impegni presi da altri. Perciò i rottami sono tutti nostri e dovremo occuparci noi di smaltirli. Come? Affrontando spese enormi e andando ad inquinare altri territori.

Ma i terreni che ospitano gli aerogeneratori non saranno mai più bonificati, perché il basamento (circa 1.300 metri cubi di calcestruzzo) non può essere eliminato: verrà lasciato lì, rendendo sterile il terreno in eterno. È questa l’idea comune di “energia pulita”.

Ecco perché parliamo di SPECULAZIONE. Loro si prendono la nostra terra e il nostro futuro e in cambio ci gettano qualche osso, per tenerci buoni.

Spesso, però, manco quello. Le truffe sono all’ordine del giorno, sia ai danni di privati che delle Pubbliche Amministrazioni. Sono sempre più numerosi i proprietari di terreni che si rivolgono agli avvocati, prima di firmare i contratti di concessione, perché cominciano a rendersi conto che è facilissimo cadere in trappola.

Se l’affare non dovesse andare in porto, tuttavia, si può sempre ricorrere agli espropri. Imprese private che espropriano altre imprese private: ogni infamia è concessa, in nome della pubblica utilità.

Sono molti gli amministratori che si oppongono, ricevendone addirittura minacce; altri invece ricercano il vantaggio personale. L’inerzia della Giunta Solinas, appena decaduta, ha favorito qualunque tipo di malaffare.

Ci sono soluzioni al disastro incombente?

Certo: basterebbe recepire le direttive europee. L’energia necessaria al nostro sostentamento, e anche in sovrappiù, potrebbe essere prodotta dal fotovoltaico sui tetti sia pubblici che privati, senza ulteriore consumo di suolo; dallo sviluppo dell’idroelettrico – che stranamente non viene preso in considerazione – ed eventualmente dal geotermico di bassa profondità. Si potrebbero potenziare gli impianti eolici già esistenti, sfruttando le nuove tecnologie ma rispettando l’estensione e le altezze attuali, senza altro concedere. Redigere piani energetici locali e concordati con le comunità, che non distruggano l’economia e il tessuto sociale come invece fanno questi impianti di taglia industriale. Piani che rispettino il territorio e la nostra dignità.

Sono queste le soluzioni suggerite dai 14 Comitati che si sono costituiti per difendere la Sardegna dall’assalto, riunendosi in un Coordinamento regionale. I Comitati chiedono con urgenza una moratoria, per stoppare almeno momentaneamente i progetti e avere il tempo di fare scelte migliori, una Legge regionale di recepimento delle direttive UE, la possibilità di partecipare alla redazione di un piano energetico regionale.

Si attendono i primi passi della Giunta Todde, che molto ha promesso in campagna elettorale. Si è già perso troppo tempo. Intanto gli speculatori avanzano in gran fretta e con arroganza, favoriti da vent’anni di norme nazionali che facilitano incredibilmente ogni tipo di autorizzazione, scavalcando le comunità locali.

La nuova Amministrazione Regionale verrà messa immediatamente alla prova. Alessandra Todde vorrà e sarà capace di tutelare la sua terra, pur rispettando il fine comune della transizione energetica? Sarà capace di condurci all’obiettivo senza barattare la Sardegna?

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