di Massimiliano Paoli

"Nelle economie moderne lo stato non può disinteressarsi di ciò che accade nel mercato degli operatori privati, poiché sa perfettamente che il risultato delle loro decisioni può non essere conforme agli interessi generali della società, che è suo compito tutelare" - Enrico Mattei

Destini paralleli

Enrico Mattei nasce il 29 aprile 1906 ad Acqualagna, un piccolo paese in provincia di Pesaro-Urbino che al tempo contava poco più di tremila anime.

"Mattei è il secondo di cinque figli di un brigadiere dei carabinieri convinto che «restare poveri è una disgrazia perché non si può studiare». Finite le scuole elementari, viene messo in collegio, a Vasto, dove frequenta la Scuola tecnica inferiore. La povertà della famiglia e la rigida disciplina imposta dal padre lo spingono presto a cercarsi un lavoro. Il brigadiere, nel frattempo promosso maresciallo, riesce a far assumere il giovane Enrico in una fabbrica come verniciatore di letti di metallo. L'odore nauseante della vernice resterà per sempre impresso nella sua memoria al punto di procurargli una sorta di idiosincrasia per tutti gli odori penetranti, «compreso - confesserà anni dopo - quello della mia benzina». Nel 1923 viene assunto come garzone nella Conceria Fiore. La carriera del garzone è rapida: prima operaio, poi aiutante chimico, infine direttore del laboratorio. Nel 1929, quando la Conceria Fiore chiude, Mattei fonda con la sorella e un fratello la sua prima fabbrica: un piccolo laboratorio di oli emulsionanti per l'industria conciaria e tessile. Nel 1934, prova a diventare un vero industriale e fonda a Milano la Chimica Lombarda. Due anni dopo, a Vienna, sposa Greta Paulas. Poi si diploma ragioniere e si iscrive all'università Cattolica. E' vulcanico, intraprendente, ambizioso. Ma la sua carriera ha una svolta improvvisa quando scoppia la guerra. Nel maggio del 1943 incontra Giuseppe Spataro, attraverso il quale entra in contatto con i circoli antifascisti milanesi. E dopo il 25 luglio si unisce ai gruppi partigiani in azione sulle montagne lombarde. Li, tra le valli, il giovane industriale in carriera viene messo alla guida di una delle formazioni «bianche», di matrice cattolica, quelle che saranno nel dopoguerra il serbatoio della classe dirigente democristiana [...]"(1).

E' proprio in questo contesto che Mattei farà la conoscenza del suo alter-ego, il comandante "Alberto".

Cefis

Eugenio Cefis, classe 1921, è stato probabilmente uno dei dirigenti industriali più potenti e discussi della prima Repubblica.

"Figlio di un piccolo imprenditore edile di Cividale del Friuli e di una maestra, con altri sei fratelli, Cefis è allievo della Scuola militare di Milano dal 1936 al 1939 e frequenta l'Accademia militare di Modena dal 1939 al 1941. Dalla fine dell'ottobre 1943 al 25 aprile 1945 combatte sui monti della Val d'Ossola nella formazione partigiana Valtoce prima, e poi nel raggruppamento Alfredo Di Dio (Piemonte e Lombardia). Cefis è un abile stratega, ma soprattutto un freddo esecutore degli ordini dell'unica enclave partigiana costituita nel 1944 nel Nord Italia, proprio in val d'Ossola. Negli anni della Resistenza, grazie alla sua buona conoscenza dell'inglese, entra in contatto con gli americani della testa di ponte vicino a Bergamo. I suoi rapporti si fanno stretti con il capitano Emilio Daddario, esponente dell'Oss [il vecchio acronimo della CIA]. E' l'origine di quelle sotterranee ma efficacissime affinità elettive tra Cefis e i suoi «amici americani», di cui si parlerà, a torto o ragione, per tutta la durata del secolo"(2).

Con documenti e testimonianze alla mano, verrebbe da dire più a ragione che a torto.

Il primo pezzo di carta che lega Cefis all'intelligence americana anche dopo la fine della sua esperienza partigiana è una nota riservata del 2 gennaio 1971 attribuita all'Ucigos (un organo della polizia di stato): "In base a quanto riferito da fonti confidenziali [...] Italo Mattei [fratello di Enrico] avrebbe la prova che l'allontanamento di Cefis dall'Eni, alcuni mesi prima del disastro aereo di Bascapè, non fu un gesto spontaneo, ma fu imposto dal defunto Enrico Mattei in quanto questi avrebbe scoperto che il Cefis faceva il doppio gioco ed era collegato coi servizi segreti americani".

A corroborare indirettamente l'adeguatezza delle informazioni contenute nel documento c'è la testimonianza di Angelo Mattei (nipote di Enrico) messa a verbale dal pm di Pavia Vincenzo Calia, l'ultimo titolare della matassa giudiziaria sul disastro aereo di Bascapè. Angelo dichiara che suo zio «si era accorto che qualcuno metteva le mani nella sua cassaforte personale che aveva dietro un quadro in una stanza a sua esclusiva disposizione all'Eni di Roma. Mattei si rivolse quindi ad uno dei suoi più stretti collaboratori [...] dicendogli di diffondere la voce che sarebbe partito e si sarebbe assentato per due o tre giorni. Invece di partire si nascose in uno stanzino comunicante con la stanza ove era la cassaforte. Dopo pochi minuti entrò Cefis e mio zio lo colse con le mani nella cassaforte, da dove aveva preso e stava leggendo alcuni documenti che concernevano finanziamenti a partiti o personaggi politici. A questo punto mio zio pose a Cefis l'alternativa di dare le dimissioni o di essere cacciato via: Cefis preferì dare le dimissioni, motivandole ufficialmente - ancora oggi - con il fatto che egli non condivideva la politica economica dell'Eni».

Per ironia della sorte, era stato proprio lo stesso Mattei a reclutare Cefis all'interno del nascente Ente Nazionale Idrocarburi (costituitosi poi nel 1953 grazie anche alla lungimiranza del leader democristiano Alcide De Gasperi). Cefis ottiene da Mattei la direzione del personale dell'Agip: un endorsement impegnativo quanto apparentemente inspiegabile per un uomo così diverso dal «corsaro» di Acqualagna. Le divergenze sia sul piano caratteriale sia su quello politico vengono evidenziate dall'ex rappresentante dell'Esso in Italia Vincenzo Cazzaniga: «Io conoscevo bene sia Mattei che Cefis e mi ero reso conto che i due caratteri erano opposti. Vi era inoltre un ulteriore motivo di divisione tra i due, rappresentato dagli orientamenti o dalle referenze politiche».

Mattei, dunque, non poteva che vedere Cefis come una sorta di "male necessario" utile per portare a compimento i suoi progetti di espansionismo prima, e di rinnovamento democratico a livello internazionale poi. Due elementi che avrebbero creato scompiglio e incertezza nei piani di tanti, di troppi. Persino dei suoi stessi alleati, veri o presunti. Sicuramente in quelli mai del tutto chiariti del Cefis.

C'è un documento del Sismi, in tal senso, particolarmente interessante; redatto nel 1983 all'indomani dello scandalo P2 e di un lento quanto logorante risanamento dei servizi segreti militari, il testo dice esplicitamente che "la loggia P2 è stata fondata da Eugenio Cefis che l'ha gestita sino a quando è rimasto presidente della Montedison [1977]. Da tale periodo ha abbandonato il timone, a lui è subentrato il duo Ortolani-Gelli". Questa volta, la riprova di tali affermazioni, proviene dai "cugini" del Sisde in un appunto dell'anno precedente: "Intensi contatti sarebbero intercorsi in Svizzera fino ad agosto tra Licio Gelli ed Eugenio Cefis, presidente di Montedison International".

Secondo una testimonianza resa da Carlo Calvi, figlio di Roberto, ex presidente del Banco Ambrosiano iscritto alla P2 poi assassinato a Londra nel 1982, “la traccia su un ruolo di Cefis come mente della P2 […] [viene] fornita da Ian Logie. Conobbi Logie a Milano nel 1977 e lo rividi per l’ultima volta a Washington nel settembre 1980, per un incontro del gruppo InterAlpha [consorzio di grandi banche internazionnali fondato dal padre]. Logie aveva lavorato prima alla Esso e poi alla William & Glynns e conosceva bene sia mio padre, sia Cefis, sia Vincenzo Cazzaniga (presidente della Esso Italia ai tempi di Mattei). Quando il pubblico ministero Franccescco De Leo si decise a interrogare Cazzaniga nel procedimento romano per l’omicidio di mio padre, chiedemmo a Logie di riassumere i suoi rapporti con i tre. Logie disse di essere in possesso di un rapporto della Esso Europa al consiglio della Standard Oil of New Jersey dove si sosteneva che Cazzaniga, con l’aiuto del professor Alberto Ferrari della Bnl [anch’egli iscritto alla P2], gestiva un sistema di conti per pagare i politici e che Cazzaniga e Cefis avevano curato i loro interessi personali in Canada”.

Dalla tomba riecheggia la voce di Enrico Cuccia, storico presidente di Mediobanca (una sorta di Rockefeller italiano): «Mi ha lasciato solo come un birillo tra le bocce caro dottor Cefis, pensavo che lei facesse il golpe e invece se ne è andato»(3).

Con il termine “golpe”, verosimilmente, Cuccia non si riferiva al classico colpo di stato in salsa sud americana ma ad un progetto più moderno che potremmo tranquillamente definire di stampo gelliano: “un cambiamento istituzionale”, scrivono Andrea Greco e Giuseppe Oddo in un loro libro sull’ENI, “che spazzasse via i partiti e la corruzione, peraltro alimentata dallo stesso Cefis, e che stabilizzasse la politica con uomini nuovi, assurti a ruoli di comando per imprecisati meriti”.

Nasce l'Eni

Facciamo un passo indietro e torniamo a Mattei. Finita la guerra, il 28 aprile 1945, la Commissione Centrale Economica del Comitato di Liberazione per l'Alta Italia nomina l'ingegner Mattei commissario straordinario per l'Agip.

"L'Azienda Generale Italiana Petroli (Agip), nel 1945 era ridotta a una sigla sulla propria carta intestata. Nel business del petrolio, dominato dai colossi americani e inglesi, la società petrolifera dello stato italiano non aveva brillato mai, ma la guerra l'aveva oscurata del tutto"(4).

Costituita il 19 maggio 1926 in pieno regime fascista, "l'Agip era dunque una società controllata dallo stato, operante in campo petrolifero, secondo le regole del mercato. Verso l'Agip si appuntavano tuttavia robusti interessi americani. La società petrolifera italiana, infatti, pur nella stasi e nello svuotamento delle sue funzioni conseguenti alle vicende belliche, era titolare, almeno in teoria, di rilevanti giacimenti di petrolio in Romania [...]. C'erano poi le ricerche avviate nella Val Padana [...] e la rete distributiva italiana, sfasciata ma ricca di potenzialità per il futuro, che si prevedeva sarebbe stato dominato dal petrolio"(5).

Superato lo scetticismo iniziale dovuto principalmente alla miopia politico-affaristica del governo e dell'allora presidente dell'Agip Petretti, i quali premevano per la liquidazione dell'Ente, "il 27 ottobre 1945 Mattei si dimise da commissario, ma dal 4 ottobre era entrato nel consiglio di amministrazione dell'Agip, che [...] aveva deciso di riservargli la vicepresidenza. [...]. Egli conserverà questa nuova posizione quasi ininterrottamente - nonostante vari tentativi di allontanamento -, fino alla costituzione dell'Eni"(6).

Il 20 gennaio 1953, dopo anni di pressioni aventi lo scopo di portare i governi a smantellare l'Agip, passa al Senato il disegno di legge che porterà alla luce l'Eni. Negli anni successivi, la creatura di Mattei (eletto ora presidente) avrà una funzione fondamentale nel rinvigorimento dell'economia nazionale.

Mamma butta la pasta

Come accennato sopra, "durante il lungo periodo di preparazione della legislazione petrolifera [...] le pressioni dell'ambasciata americana, di esponenti della società e della stampa italiana legata agli interessi dell'industria petrolifera privata, furono continue e rilevanti"(7).

Il primo ad alzare la voce contro De Gasperi, il 5 marzo 1951, fu Ralph Bolton, manager romano della Standard Oil of New Jersey (oggi Esso). In un telegramma spedito all'allora ministro per l'Industria Giuseppe Togni, minacciava senza tanti giri di parole il governo italiano reo di mettere in essere uno "sfavorevole atteggiamento verso l'industria privata" e, sempre secondo Bolton, lo costringeva a "chiedere tutela et appoggio autorità Washington".

Questo è uno dei più classici esempi della faziosità dei comportamenti messi in atto dalle multinazionali: frignare ai propri referenti governativi invocando le leggi del libero mercato solo ed esclusivamente per "mangiarsi" sgraditi concorrenti ed in alcuni casi ambire, subdolamente, al monopolio (l'antitesi del fantomatico "libero mercato").

La sceneggiata di Bolton, guarda caso, era scaturita dalla proroga di alcuni permessi di ricerca dell'Agip in Val Padana. Come avrebbe potuto sopravvivere la Standard Oil ad una stoccata fatale come questa?

Come avrebbe potuto andare avanti una compagnia che secondo un censimento del Dipartimento di Stato americano del 17 luglio 1946, possedeva il 33,9% di tutti gli investimenti americani in Italia (possedimenti dall'irrisorio valore di 24.934.331 dollari del tempo) ?

Un po' meglio era andata alla Gulf Oil, proprietaria de facto dell'Assemblea Regionale Siciliana, dove fece passare, nel maggio del 1950, una legge a favore dell'iniziativa privata nell'isola. L'emendamento passo con il 98% dei voti. Contando che uno dei rappresentanti era ammalato e il presidente del tempo, il senatore Ettore Cipolla (una versione erudita di Cetto La Qualunque), si astenne per galateo politico, qualche domanda sorge spontanea.

"I risultati della legge petrolifera siciliana si videro già nel 1953, quando circa 10.000 kmq risultavano assegnati ai privati contro meno di 50 kmq assegnati all'Eni. Fra i privati concessionari, la Gulf, insieme alle sue controllate, era al primo posto, con oltre 3000 kmq, seguita da altre 26 società, quasi tutte straniere"(8).

Anche gli inglesi erano estremamente soddisfatti dal governo siciliano. La testimonianza di ciò sta in una lettera del 14 marzo 1955 in cui l'ambasciatore Ashley Clarke plaude all'intraprendenza del governo siciliano (il destinatario è l'allora ministro degli Esteri britannico Anthony Eden): "Sono rimasto impressionato dall'energia e dall'intraprendenza della Camera di commercio di Catania. Ho già segnalato alla Federazione delle industrie britanniche le agevolazioni che il governo regionale siciliano sta offrendo alle imprese straniere".

Catania. Sarà sicuramente una coincidenza, ma è proprio in quel capoluogo siciliano che nell'ottobre del 1962 verrà sabotato l'aereo del presidente dell'Eni.

Big Seven

"Se si vuole sapere chi estraeva e commerciava più petrolio nel mondo", scrive lo storico Nico Perrone, "ci si imbatte in sette gigantesche società: Standard Oil Company of New Jersey (col marchio Esso, mutatasi in Exxon Corporation), Socony-Vacuum Oil Company (mutatasi in Socony-Mobil Oil Company e poi in Mobil Oil Corporation), Standard Oil Company of California (Socal, col marchio Chevron), Texas Oil Company (Texaco), Gulf Oil Corporation, Royal Dutch Shell Oil (Shell), Anglo-Persian Oil Company (Apoc, mutatasi in Anglo-Iranian Oil Company, Aioc, e poi in British Petroleum Company, Bp). Nel linguaggio corrente erano indicate come «The Cartel», «International Majors», «Oil Majors», «The Majors», «Seven Majors», «Big Seven», o «The Seven», ma dagli anni cinquanta - pare a opera di Mattei - vennero chiamate le «sette sorelle» o «Seven Sisters». Esse erano controllate da azionisti americani, tranne la Bp, il cui capitale era controllato dal governo inglese, e la Shell, suddivisa fra capitali inglesi (40 per cento) e olandesi. Le «sette sorelle», all'inizio degli anni cinquanta, «controllavano oltre il 90 per cento delle riserve petrolifere al di fuori degli Stati Uniti, del Messico e delle economie a pianificazione centralizzata; contavano per almeno il 90 per cento della produzione petrolifera mondiale»; «possedevano almeno il 75 per cento della capacità di raffinazione mondiale; e fornivano circa il 90 per cento del petrolio trattato sui mercati internazionali». Esse costituivano una sorta di circolo a numero chiuso per la gestione degli interessi petroliferi mondiali, che procedeva attraverso intrecci, talvolta inconfessabili, coi governi, dagli Stati Uniti al più sperduto emirato"(9).

Era questa la muraglia d'interessi con cui Mattei doveva fronteggiarsi ogni giorno per garantire al paese un'indipendenza energetica, e quindi politica.

Il gioco grande

Come contromossa allo strapotere del cartello petrolifero internazionale, Mattei comincia a finanziare la politica italiana.

"E' lo stesso Mattei ad ammettere, candidamente, più di una volta, di aver finanziato la politica italiana: «Per me i partiti sono come taxi. Salgo, pago la corsa e scendo». Grazie ai fondi neri, Mattei nel 1957 fa approvare dal Parlamento una legge che autorizza l'Eni a disporre delle concessioni in Italia, ma soprattutto concede carta bianca per le concessioni all'estero. E' l'attacco al monopolio del petrolio mondiale detenuto dalle Sette sorelle. Nello stesso periodo, Mattei fonda un quotidiano, «Il Giorno», e due agenzie di stampa, apre una serie impressionante di uffici di rappresentanza all'estero, mette in piedi una preziosa rete di informatori cui i servizi segreti italiani offrono importanti forme di collaborazione. E parte all'assalto del Terzo mondo, ricco di petrolio ancora da estrarre"(10).

"Il primo passo di Mattei per procurarsi fonti di approvvigionamento proprie venne fatto in Somalia (ottobre 1953), ove l'Eni [...] avviò un sondaggio esplorativo, seguito da altri negli anni successivi, ma essi si rivelarono tutti sterili. Una tappa importante fu segnata invece in Egitto (maggio 1955), con l'acquisto di una partecipazione nella International Egyptian Oil Company (Ieoc). Attraverso questa partecipazione, con successive operazioni l'Eni pervenne (1957) al controllo del 51% della Compagnie Orientale des Petroles d'Egypte (Cope), titolare di permessi di ricerca nella penisola del Sinai, mentre il 49% di questa società restò in mani egiziane. [...]. Fu quello l'esordio della nuova politica petrolifera di Mattei. L'Eni anticipava gli investimenti necessari alle ricerche e, se questi avessero avuto esito positivo, il paese detentore dei pozzi avrebbe rilevato azioni dell'impresa fino a ripianare la metà degli investimenti effettuati, finendo in tal modo associato pariteticamente con la società italiana nello sfruttamento dei giacimenti. Rispetto alla regola del fifty-fifty - che peraltro solo allora si andava generalizzando, ma non offriva serie possibilità di controllo da parte del paese nel quale erano ubicati i giacimenti -, il sistema introdotto da Mattei attribuiva un utile maggiore di circa il 25% al paese detentore dei pozzi e ne rispettava la sovranità, offrendogli la parità societaria nell'impresa. Tale formula contrattuale faceva inoltre gravare i costi e i rischi di un insuccesso solo sull'Eni, perché l'impegno societario col paese sul cui suolo si operava, e il rimborso di parte delle spese di ricerca, si sarebbero realizzati solo a condizione del reperimento del petrolio e dopo l'eventuale entrata in funzione dei pozzi. Nel quadro di questa collaborazione con l'Egitto, nel 1956 l'Eni realizzò l'oleodotto Suez-Cairo, mentre Mattei ventilava la possibilità che la holding di stato italiana realizzasse persino la diga di Assuan, il cui finanziamento, promesso inizialmente dagli Stati Uniti, era stato bloccato dal segretario di Stato, [John Foster] Dulles, a causa delle posizioni neutraliste che allora andava manifestando l'Egitto sotto la leadership di Gamal Abd en Nasser. [...]. Gli accordi dell'Eni con l'Egitto non ebbero grande risonanza [...]. Fu invece il contratto con l'Iran a dirigere l'Eni verso attenzioni e risentimenti di allarmante portata"(11).

Lo sbarco dell'Eni in Medioriente insieme alla sua nuova e rivoluzionaria formula del "75-25", viene immediatamente captato sia dal governo americano sia da quello inglese.

"La reazione all'accordo iraniano dell'Eni fu assai aspra. The New York Times, il 2 settembre 1957, scriveva: «Il Dipartimento di Stato è preoccupato e le grandi società petrolifere americane sono adirate circa la possibilità che l'Iran, all'inizio di questo mese, rompa il solido fronte degli accordi con la partecipazione fifty-fifty ai profitti fra i governi del Medioriente e le società petrolifere occidentali»"(12).

Tecnico quanto tenero l'ambasciatore britannico in Italia Sir Ashley Clarke: «Mattei soffre di megalomania».

Nel 1958, proprio mentre l'Eni cominciava la sua avventura in Libia e in Marrocco, Mattei stipulò un accordo con l'Unione Sovietica per l'acquisto di petrolio.

"Il fatto più rilevante, nei rapporti fra l'Eni e l'Unione Sovietica, si era verificato nel 1960, allorché il vice primo ministro sovietico, Aleksej N. Kosygin, in visita a Roma, incontrò Mattei e gli propose, alla presenza dell'ambasciatore sovietico, Semen Kozyrev, l'acquisto, da parte sovietica, di vari prodotti dell'industria di stato italiana. Oltre alle produzioni di gomma dell'Anic, si parlò anche di grossi tubi d'acciaio per oleodotti, e questa prospettiva di mercato ebbe il suo peso nell'affrettare la costruzione di un nuovo stabilimento dell'Iri a Taranto. L'Eni iniziò trattative per un nuovo contratto con l'Unione Sovietica. Lo stesso presidente della repubblica, Gronchi, aveva facilitato quell'intesa, con un suo viaggio a Mosca (febbraio 1960). Questa volta si trattò di un accordo complesso, con durata dal 1961 al 1965, che venne firmato a Mosca (11 ottobre 1960) da Mattei e da Nikolaj Patolicev, ministro sovietico del Commercio estero. Esso prevedeva l'importazione in Italia di 12 milioni di tonnellate di petrolio (3 milioni per anno) e l'avvio di forniture di gas, contro l'esportazione in Unione Sovietica di gomma sintetica dell'Anic, di macchinari e attrezzature petrolifere del Nuovo Pignone e di tubi della Finsider, una società controllata dall'Iri"(13).

Con questa manovra ambiziosa quanto spregiudicata, Mattei fece risparmiare allo stato italiano una cifra intorno ai 60 miliardi del tempo, ma nonostante tutto, le feroci critiche per l'accordo siglato con l'Urss non tardarono ad arrivare.

"Il fatto che Mosca inondi l'Europa occidentale, e in particolar modo l'Italia, di greggio a basso costo, preoccupa Washington e la Nato. Non solo per le ripercussioni economiche, ma soprattutto per le possibili implicazioni geopolitiche. Il rischio che in piena guerra fredda i paesi membri del Patto atlantico possano dipendere dai rifornimenti energetici del nemico non è evidentemente un dettaglio di poco conto. Il governo statunitense ha protestato con quello italiano. E la Nato ha addirittura creato una commissione per valutare i potenziali pericoli per la sicurezza dell'Europa «democratica»"(14).

Tutto questo accadeva mentre Philip De Zulueta, consigliere del governo inglese, spediva il seguente promemoria al premier britannico Harold Macmillan (siamo nel giugno del '61): "E' possibile, ad esempio, che i russi si appoggino alle nostre imprese per smerciare il loro petrolio, che è a buon mercato. E' uno schema dal quale potremmo trarre vantaggi".

Se i britannici si limitavano ad un tipico "chiagni e fotti", gli statunitensi volevano vederci dentro un po' meglio: fu così che il 10 marzo 1961 sbarcò a Roma Averell Harriman, ambasciatore itinerante del neo presidente John Fitzgerald Kennedy.

In tutte le pubblicazioni in cui mi sono imbattuto sul caso Mattei, Averell W. Harriman viene sempre presentato come una sorta di "uomo di stato", nulla di più.
Niente di più lontano dal vero.

Tanto per cominciare, Harriman faceva parte di Skull and Bones, una "modesta" società segreta con base alla Yale University che può contare fra i suoi iscritti tre presidenti degli Stati Uniti (restando ai soli presidenti), due dei quali portano Bush come cognome.

Il primo Bush che avrà il piacere di conoscere però, non diventerà mai presidente del suo paese, ma in compenso riuscirà a farne eleggere tre: Richard Nixon, George H. W. Bush e George W. Bush.
Il suo nome è Prescott.

Nel 1931 Averell Harriman e Prescott Bush avevano fondato la Brown Brothers Harriman, a tutt'oggi la più grande e la più vecchia banca privata degli Stati Uniti.

"Nel 1941 il «New York Herald Tribune» pubblicò un servizio in prima pagina con il titolo L'angelo di Hitler ha 3 milioni di dollari in una banca statunitense, in cui si diceva che il magnate dell'acciaio Fritz Thyssen aveva convogliato il denaro nella Union Banking Corporation, perché lo custodisse per gli «alti papaveri nazisti». Si trattava della banca, nominalmente di proprietà di un intermediario olandese, che Brown Brothers Harriman gestiva per conto della famiglia dell'acciaio tedesco"(15).

Nell'autunno di quello stesso anno, grazie al "Trading with the enemy act" firmato dal presidente Roosevelt, scattò il sequestro dei beni. La festa era finita… O forse no.

"Il significato politico di questi avvenimenti", scrive il giornalista Kevin Phillips, "sta nel fatto che nessuno sembrò avere una qualche importanza nel decennio successivo"(16).

Harriman, addirittura, venne eletto nel '54 governatore dello stato di New York.

L’intoccabillità di Herriman e soci nei "coinvolgimenti poco puliti con la Germania" era da ricercare, sempre secondo il solito Kevin Phillips, nel fatto che "agli alti livelli del governo, [questi affari] furono ufficiosamente classificati come missioni di spionaggio"(17).

Ovviamente non lo erano, però se osserviamo che tra il 1929 e il 1940 gli investimenti americani in Germania erano aumentati del 48,5% (dati del dipartimento del Commercio Usa), e per di più chi investiva oltreoceano usufruiva della consulenza legale dei fratelli Dulles (Allen è uno dei padri fondatori della CIA), la scusa era bella che pronta.

Ma torniamo ora all'incontro tra Harriman e Mattei.

Il meeting, organizzato all'hotel Excelsior di Roma, della durata prefissata di mezz'ora, andò avanti per ben due ore. Harriman fece presente a Mattei che l'importazione del petrolio sovietico era vista dal governo americano come una «breccia nel nostro fronte».

Uomo avvisato, mezzo salvato.

Mon'Ami

Ridurre le cause dell'astio nei confronti della politica di Mattei alle importazioni di greggio dall'Urss è ridicolo quanto fuorviante. Tra il '58 e il '61 Mattei è in Libia, Marocco, Sudan, Tunisia e cerca di espandersi in Algeria, un nervo scoperto per la Francia di De Gaulle.

"Il 22 luglio 1961, il segretario particolare di Gronchi [presidente della Repubblica], Emo Sparisci, volle incontrare con urgenza Mattei per metterlo in guardia: secondo informazioni riservate pervenute al Quirinale, i capi dell'Oas francese (Organisation armee secrete) avevano assunto il compito di persuadere il capo dell'Eni sulla convenienza della partecipazione al pool sahariano insieme ai petrolieri americani, inglesi e francesi. Erano passate poche settimane da quando Mattei, invitato a farne parte, aveva opposto un netto rifiuto. Irritata da questa risposta la diplomazia francese era intervenuta a Roma sul ministro degli Esteri, Antonio Segni, accusando l'Eni di ostacolare le trattative tra francesi e algerini, e di favorire l'irrigidimento del governo provvisorio algerino con il fine di ostacolare la soluzione di un problema considerato dalla Francia essenziale alla sua economia e alla sua sicurezza"(18).
Ad agire alle spalle degli "ultras" dell'Oas(19), tanto per cambiare, c'era la CIA.

E' grazie ad Andrew Tully e al suo libro "CIA. The inside story" che siamo a conoscenza dell'incontro fra Richard Bissell, al tempo numero tre di Langley (suo fratello faceva parte della già citata Skull and Bones) e Jacques Soustelle, ex ministro delle Colonie nel primo governo De Gaulle passato tra le fila dell'Oas, celebratosi a Washington il 7 dicembre del 1960.

All'indomani delle minacce a Mattei, sarà proprio Jacques Soustelle, guarda caso, ad essere identificato ed espulso dal territorio italiano il 17 agosto del 1962.

Il '62 è un anno cruciale. Siamo al culmine di quello che gli inglesi definiscono "matteismo", il quale rappresenta, secondo il delirio del Foreign Office britannico, "la distruzione del libero sistema petrolifero di tutto il mondo".
"L'americano" Cefis, colto in fragrante da Mattei a rubare documenti dalla sua cassaforte personale, è costretto alle dimissioni.

Secondo lo storico Paolo Cacace, la forza di Mattei "si dilata sino al punto che diventa quasi impossibile per i governi in carica assumere iniziative di politica estera senza il suo consenso".

Forte della riappacificazione con i francesi(20), Mattei punta al mercato europeo. Già un anno prima, nel suo discorso per la chiusura dell'anno accademico alla Scuola superiore sugli idrocarburi, il presidente dell'Eni aveva dato al mondo intero un piccolo assaggio della sua visione: «E' di ieri [26 giugno 1961] l'inizio dei lavori dell'oleodotto Genova-centro Europa: un'opera europea, fatta da europei, nella difesa degli interessi dell'Europa. Naturalmente l'oleodotto determinerà una piccola rivoluzione, sconvolgendo i prezzi dei prodotti petroliferi dell'Europa centrale. I fornitori di un tempo non saranno più soli, ci sarà la competizione e attraverso il nuovo mezzo di trasporto sarà possibile fare giungere al consumo dei paesi attraversati prodotti petroliferi più a buon mercato. Si stabilirà cioè la concorrenza, sui mercati di destinazione, con enorme vantaggio per tutti i consumatori e per le industrie in espansione».

"Nacquero così le reti distributive in Germania, Austria, Svizzera, Grecia, Regno Unito (1962), e le attività di distribuzione di gas propano liquido (Gpl) in vari paesi europei, asiatici e sudamericani. Nonché progettazioni e costruzioni di oleodotti, gasdotti, metanodotti, stabilimenti petrolchimici e raffinerie, fino a quella progettata nel Regno Unito"(21).

Nell'estate del '62, Agip USA, comincia una collaborazione con la Phillips Petroleum Company, una società indipendente dell'Oklahoma.

Con l'arrivo di John Kennedy alla Casa Bianca, c'era un'aria nuova.

JFK

L'ultima parte dell'ascesa "matteiana" era coincisa con l'arrivo alla Casa bianca del democratico John Fitzgerald Kennedy. L'ex senatore dello stato del Massachusetts era reduce da una vera e propria battaglia per la presidenza del paese; il suo avversario, Richard Nixon, era il vicepresidente uscente.

Insediatosi alla Casa Bianca, Kennedy si rese conto entro pochi mesi di aver ereditato il pesante fardello di quello che Dwight Eisenhower chiamò senza tanti giri di parole "il complesso militare-industriale", da cui, sempre secondo l'ex generale, "dobbiamo guardarci le spalle".

Kennedy imparò il profondo significato di quelle parole quando tra il 17 e il 19 aprile 1961 andò in scena la disastrosa invasione della Baia dei Porci, un tragicomico tentativo di rovesciare il regime comunista di Cuba invadendo l'isola con poco più di un migliaio di esuli anti-castristi addestrati dalla CIA.

"Jack" dette il suo avallo a quello scempio, ma per stessa ammissione dell'ispettore generale della CIA del tempo, Lyman Kirkpatrick, l'agenzia aveva fallito nel tenere aggiornate sull'operazione, in modo realistico e preciso, non una, ma ben due amministrazioni: la sua, e quella di Eisenhower (da cui aveva ereditato il progetto).

Il rapporto Kirkpatrick, in altre parole, non era altro che la condanna a morte messa nera su bianco dei vertici dell'intelligence a stelle e strisce. Entro pochi mesi infatti saltano Allen Welsh Dulles (direttore della CIA dal '53 al '61), Richard Bissell e Charles Cabell (vice di Dulles).

Una coincidenza non da poco: quando Kennedy verrà ucciso a Dallas, il 22 novembre 1963, il sindaco della città texana sarà proprio il fratello di Cabell, Earle.

Ma torniamo a noi. All'indomani del fallimento alla Baia dei Porci, John Kennedy organizza un comitato speciale (l'Sga) che porterà ad una ristrutturazione del progetto anti-castrista. Nasce così l'operazione Mangusta. A gestire direttamente la faccenda c'è il ministro della Giustizia Bobby Kennedy insieme al generale Edward Lansdale(22). L'obiettivo è sempre il solito: rovesciare Castro (possibilmente entro l'ottobre del '62).

Il comitato

Il cuore occulto di questa operazione nasce da un gruppo di persone che viene solitamente identificato come "Operation 40". La sua nascita va ricercata in un memorandum spedito ad Allen Dulles nel dicembre ‘59 dal colonnello King, al tempo direttore della "Western Hemisphere Division", il quale denunciava come l'instaurazione di una "dittatura di estrema sinistra" a Cuba avrebbe potuto infettare altri paesi dell'America Latina, e che quindi andava abbattuta al più presto (il solito tran tran). Sul piano politico, a gestire la baracca è nientemeno che il pupillo di Prescott Bush, il vicepresidente Richard Nixon; sul piano economico invece, tra i principali finanziatori dell'operazione c'è suo figlio, George H.W. Bush.

Il primo documento che collega H.W ai circoli anti-castristi sponsorizzati dalla CIA, proviene nientepopodimeno che dall'FBI di J. Edgar Hoover. Il documento, datato 29 novembre 1963, parla (ad una settimana di distanza dall'uccisione di Kennedy) di come il dipartimento di Stato americano tema che "alcuni gruppi anti-castristi senza controllo potrebbero sfruttare la situazione presente [la morte di Kennedy appunto] e mettere in atto un raid non autorizzato contro Cuba"; segue un appunto sulle reazioni delle comunità pro e anti-Castro nell'area di Miami. Il merito per queste informazioni andava ricercato in un agente della DIA (i servizi segreti militari diretti dal Pentagono) e in un certo "signor George Bush della Central Intelligence Agency".

Questo documento, portato alla luce dalla rivista "The Nation" nel pieno della campagna elettorale che vedeva proprio George H.W. Bush ambire alla Casa Bianca (siamo nel 1988), fece abbastanza rumore da meritarsi una risposta ufficiale della CIA, la quale, ribatté che il Bush in questione non era l'ex petroliere texano ma un agente di nome George William Bush.

"La rivista allora ne ripercorre la carriera e scoprì che nel 1963 non era che un semplice analista dell'andamento delle coste"(23).

Un altro documento governativo che inguaia Bush viene incredibilmente dalla stessa CIA.

Nel 1953 H.W fonda la Zapata Petroleum insieme ai fratelli Liedtke (Bill gestirà la campagna elettorale di Nixon in Texas sia nel '68 sia nel '72) e Thomas J. Devine, il quale, secondo un memorandum della stessa CIA datato novembre 1975, gestiva operazioni commerciali per conto di Langley.

Sarà un caso ma il 10 aprile 1953, a sole due settimane dalla costituzione della Zapata, il presidente della società Dresser (oggi Halliburton) Neil Mallon, membro della solita Skull and Bones ed amico intimo dei Bush, spedisce una lettera al neoeletto Allen Dulles per anticipargli l'argomento del loro prossimo incontro fissato al Carlton Hotel di Washington: "il progetto pilota nei caraibi".

Lo scrittore Russ Baker, nel suo libro "Family of secrets", ipotizza che il progetto di cui parla Mallon sia proprio la Zapata Oil.

L'esito dell'incontro è sconosciuto, ma le coincidenze vogliono che l'anno successivo, in concomitanza col progetto golpistico guatemalteco capitanato da Allen Dulles, venga fondata la Zapata Offshore, società composta da una "insolita e complessa struttura"(24).

Secondo l'ex membro del Dipartimento della Giustizia John Loftus, "la Zapata fornì gli approvvigionamenti commerciali per una delle operazioni più famigerate di Dulles: l'invasione della Baia dei Porci".
Caso vuole che la Security and Exchange Commission (la Consob italiana) abbia "inavvertitamente distrutto" tutti i documenti che riguardavano la Zapata Offshore dal '60 al '66.
Della stessa opinione di Loftus l'ex generale cubano Fabian Escalante, secondo cui Richard Nixon "assemblò un importante gruppo di uomini d'affari capeggiato da George Bush e Jack Crichton, ambedue petrolieri texani, con lo scopo di raccogliere i fondi necessari all'operazione"(25).

A far parte di quella operazione c'è anche lo storico agente della CIA E. Howard Hunt (legato ad Averell Harriman dal 1948), reo confesso(26) assassino del presidente Kennedy presente sul libro paga della Casa Bianca all'indomani dell'infrazione al Watergate Hotel.

Questo era il cuore nero dell'operazione contro Cuba.

Per stessa ammissione(27) di Bobby Kennedy, l'Operazione 40 (mutata poi in Mangusta) era fuori controllo anche in periodi critici come la crisi dei missili a Cuba, periodo in cui, guarda caso, verrà sabotato l'aereo del presidente Mattei.

Back to Italy

In Italia a rappresentare la CIA nel '62 c'è Thomas Hercules Karamessiness (per i non addetti ai lavori sarebbe l'uomo che ha regalato al Cile Augusto Pinochet), uno stacanovista della democrazia che in Italia ha schedato, insieme al generale De Lorenzo (capo del SIFAR), 157.000 persone. Pericolosi sovvertitori dell'ordine democratico ? Terroristi ? Manco per sogno. In prevalenza politici da ricattare. I più gettonati ? Amintore Fanfani e Giovanni Gronchi: due uomini politici molto vicini ad Enrico Mattei (soprattutto Gronchi).

Secondo il generale Aldo Beolchini, "il Sifar conosceva vita e miracoli di Enrico Mattei"(28).

Uno dei motivi era da ricercarsi nella collaborazione con l'ente di Carlo Massimiliano Gritti, uomo di Cefis che curava i rapporti con i servizi segreti: Gritti era legato al generale Giovanni Allavena, uomo della P2.
Sarà proprio Gritti, infatti, a cercare di convincere la famiglia Mattei che il Morane-Saulnier pilotato da Irenio Bertuzzi era caduto a causa di un guasto aereo. Tutto questo accadeva proprio mentre negli ambienti della Snam si diffondeva prepotentemente la tesi del sabotaggio. A testimoniare questa circostanza la vedova di Marino Loretti, morto in un misterioso incidente aereo insieme al figlio nel 1969: "Mio marito era il motorista che si occupava dell'aereo utilizzato da Mattei e lavorava sempre insieme a Irnerio Bertuzzi [...]. Dopo la morte di Mattei e Bertuzzi mio marito ha sempre ripetuto che il loro aereo non era caduto accidentalmente ma a seguito di un attentato".

L'ultimo viaggio

Sabato 20 ottobre, Mattei era appena tornato dalla Sicilia. Lo scopo del viaggio era il riallacciamento dei rapporti, all'indomani dell'operazione Milazzo, con la Dc siciliana per il "consolidamento degli interessi dell'Eni nell'isola"(29).
L'amministrazione Kennedy, nel mentre, era riuscita a portare a termine una complicata manovra di riappacificamento tra l'Eni e la Esso, le quali avevano stretto un importante accordo economico a fine estate. L'accordo doveva essere formalizzato negli States, dove Mattei avrebbe dovuto ricevere una laurea ad honorem all'università di Stanford e, secondo alcuni (tra cui l'ex collega di Mattei Benito Li Vigni), avrebbe incontrato il presidente Kennedy.
Nessuna filantropia ovviamente, nessuno negli Stati Uniti vedeva di buon occhio la ventata "neo-atlantista" iniziata con De Gaulle e sbandierata da Mattei; allo stesso tempo però, in alcuni ambienti democratici si era cominciato a capire che l'unico modo per dare stabilità politica all'Italia andava ricercato nel PSI, e quindi ad un'inevitabile, quanto cauta, apertura a sinistra.

Mattei, avendo «amici nell'estrema sinistra del partito» e un buon rapporto con Nenni, era l'uomo perfetto per portare avanti questo disegno di "democratizzazione" del PSI.

Un altro motivo per cui Mattei era l'uomo ideale per mettere in atto lo spostamento dell'asse politico andava ricercato nella rottura dei rapporti con Amintore Fanfani (all'indomani dell'acquisto del greggio sovietico) e della susseguente all'alleanza stretta con Aldo Moro, ideatore di un centro-sinistra che ambiva a governare il paese.

Tutto questo però non accadrà mai.

"Sabato 20 ottobre 1962, tra le 23:30 e mezzanotte. Il telefono nella camera 301, al terzo piano dell'Hotel Eden di Roma, squilla. Risponde Enrico Mattei: «Ma chi è a quest'ora?». All'altro capo del filo c'è il dirigente dell'ufficio pubbliche relazioni dell'Eni in Sicilia, Graziano Verzotto [legato al boss di Cosa Nostra Di Cristina], veneto di San Giustino in Colle, segretario della Dc siciliana e futuro senatore. Verzotto lo invita a tornare nell'isola al più presto, «con urgenza», perché «la popolazione di Gagliano è nervosa, parla di barricate e vuole essere tranquillizzata da una visita di Mattei». Ma come ? C'è stato due giorni prima in Sicilia. Perché deve tornarci ? La fretta di Verzotto appare del tutto ingiustificata. L'impegno per la fabbrica di scarpe, preso due giorni prima davanti al presidente della regione Giuseppe D'Angelo e al sindaco Antonio Cuva, ha rasserenato i cittadini di Gagliano che attendono, più che una visita del presidente dell'Eni, la realizzazione delle promesse. Quella telefonata sembra piuttosto un «pretesto» per attirare Mattei in Sicilia. Italo Mattei, fratello di Enrico, racconta che il presidente appariva molto nervoso dopo quella chiamata perché «non aveva tempo da perdere in quel periodo». Lo aspettavamo, fra l'altro, l'accordo petrolifero da firmare con il presidente algerino Ahmed Ben Bella il 6 novembre e «la battaglia decisiva con le grandi compagnie petrolifere internazionali». Qualche giorno dopo accade un fatto ancora più strano. Arriva una seconda telefonata. Italo Mattei riferisce che il fratello ricevette davanti a lui la seconda chiamata «probabilmente in arrivo da Gela». Dalle sue risposte, Italo Mattei si rende conto che è stato compiuto «un attentato contro le attrezzature dell'aeroporto di Gela, dove avrebbe dovuto atterrare il suo bireattore personale, un Morane Saulnier», l'aereo che Mattei usa per spostarsi rapidamente in tutto il mondo. Urtato dalla notizia il presidente risponde: «Io a Gela ci vengo ugualmente e in aereo. E se mi vogliano ammazzare, facciano pure». Italo Mattei racconta che allora non comprese «il senso di ciò che stava accadendo». Ma col senno di poi, si dice convinto che «la telefonata numero uno aveva il compito di far tornare mio fratello in Sicilia prima della visita ad Algeri. La telefonata numero due aveva lo scopo di convincerlo ad atterrare in un aeroporto apparentemente più sicuro, cioè a Catania, sulla cui pista si stava invece organizzando l'attentato». Le due telefonate infastidiscono molto il presidente dell'Eni che, alla vigilia del primo viaggio in Sicilia, ha ricevuto l'ennesima lettera anonima, dattiloscritta, in cui gli si ordina di abbandonare la sua attività, pena la morte. Una lettera non più ascrivibile all'OAS, e da lui ritenuta più grave delle altre missive. Una lettera misteriosa che non vuole mostrare neanche alla moglie per non allarmarla. Mattei conosce l'identità di chi lo minaccia? Ricorda Greta Paulas di avere avuto la sensazione «qual'era la provenienza delle lettere o quantomeno avesse dei sospetti». Ma Mattei stavolta non parla, resta silenzioso pure con la moglie. La sera prima di decollare per la Sicilia, il presidente dell'Eni appare «avvilito e preoccupato». Passa la notte insonne e chiede in extremis alla moglie, forse per avere un conforto, di accompagnarlo. Ma Greta ha il padre malato (morirà il mese successivo) e deve assisterlo. Non può partire con lui. Consapevole del rischio, l'uomo più potente d'Italia commenta: «può anche darsi che io non torni più». L'ultimo viaggio di Mattei in Sicilia è un giallo che nessuno ha ancora ricostruito per intero. La tabella di marcia appare, al solito, frenetica. Il presidente atterra a Gela venerdì 26 ottobre alle ore 10:20 del mattino. Quella sera dorme al motel Agip di Gela. L'indomani mattina, in elicottero, si reca a Gagliano; poi nel pomeriggio è previsto il ritorno a Milano con decollo da Fontanarossa, a Catania. Pochi spostamenti, molti incontri. E misteri ancora senza soluzione. Ma a oltre trent'anni di distanza, i ricordi dei testimoni ancora vivi sono confusi e contraddittori, altre testimonianze si sono rivelate palesemente inattendibili, persino dai fogli di viaggio degli aerei non si è riuscito a ricostruire compiutamente il percorso siciliano dei velivoli. La sparizione delle tracce in aeroporto non è di poco conto, perché rende quasi impossibile la ricostruzione degli ultimi movimenti del presidente dell'Eni. Anche perché Mattei, come spesso li capita negli ultimi tempi, in Sicilia è arrivato con due aerei Morane. Gemelli. Di cui uno «fantasma». E' il suo «segreto», il suo salvavita condiviso con pochi fidatissimi. Persino Raffaele Girotti, uomo di Cefis e amministratore delegato della Snam, proprietaria degli aerei, è all'oscuro dell'esistenza del secondo Morane. Almeno così dichiara"(30).

Secondo l'ex ministro della Giustizia Oronzo Reale, Girotti mente, tanto da dichiarare a Rosangela Mattei, figlia di Italo, che a far fuori suo zio erano stati proprio «Girotti, Cefis, Fanfani». «Reale - ricorda la donna - fece anche un rapidissimo cenno ai motivi che avevamo determinato l'uccisione di mio zio, facendo riferimento a un contratto che lo stesso mio zio stava per concludere con l'Algeria per lo sfruttamento del petrolio algerino e che per impedirgli ciò era stato fatto fuori».

A detta di Junia De Mauro, figlia del giornalista Mauro De Mauro (rapito e ucciso dalla mafia per le sue indagini sul caso Mattei): "Uno dei pochissimi uomini a sapere l'orario vero di ripartenza dell'aereo di Mattei quel pomeriggio a Catania era [...] Cefis".

Nel 1986, davanti al congresso dei partigiani cristiani, l'allora presidente del Consiglio Amintore Fanfani (tirato in ballo dal ministro Reale) pronunciò questa frase: "Chissà, forse l'abbattimento dell'aereo di Mattei più di vent'anni fa è stato il primo gesto terroristico nel nostro paese, il primo atto della piaga che ci perseguita".

Va ricordato che nell'86 la tesi dell'abbattimento, per quanto sensata e plausibile, era soltanto un'ipotesi.

In questa triste storia, l'unica responsabilità che si può accertare con sicurezza è quella di Cosa Nostra.

"Il superpentito Tommaso Buscetta ha rivelato ai giudici e al sociologo Pino Arlacchi alcuni clamorosi retroscena sull'attentato a Mattei: «Fu Cosa Nostra siciliana a decretare la morte di Enrico Mattei [...]. Il piano per eliminare Mattei mi fu illustrato da Salvatore Greco e da Salvatore La Barbera [...]. Mattei fu ucciso su richiesta di Cosa Nostra americana perché con la sua politica aveva danneggiato importanti interessi americani in Medio Oriente. A muovere le fila molto probabilmente erano le compagnie petrolifere, ma ciò non risultò a noialtri direttamente, in quanto arrivò Angelo Bruno, della famiglia di Filadelfia, e ci chiese questo favore a nome della Commissione degli Stati Uniti»"(31).

La spiegazione data da Buscetta è corroborata da numerosi elementi. Il primo è da ricercarsi in un documento redatto il 29 maggio '62 dall'addetto commerciale presso l'ambasciata britannica in Italia, Wardle Smith, in cui scriveva che "le imprese petrolifere americane sono decisamente contrarie a queste aperture nei confronti di Mattei e stanno facendo di tutto per impedire che si rechi in visita negli Usa".

Il secondo riguarda Cosa Nostra americana che era parte integrante del piano anti-Castro posto in essere dalla CIA.

Uno dei boss della Cupola d'oltreoceano che partecipava proprio a quell progetto, Calogero Minacori, a.k.a Carlos Marcello, era a Catania due giorni prima del sabotaggio dell'aereo di Mattei.

Secondo il giornalista Michele Pantaleone, il boss di New Orleans "nell'ottobre del 1962 prese parte a un convegno segreto, a Tunisi, organizzato da petrolieri americani. Dopo il convegno con un certo Badalamenti [boss siciliano], Marcello passò da Tunisi a Algeri, da qui a Madrid e quindi a Catania".

A confermare il racconto di Pantaleone è Leonid Kolosov, agente dei servizi segreti sovietici: "Posso dire che uomini della mafia italo-americani, come Marcello Carlos [...] parteciparono a riunioni segrete con alcuni dirigenti delle sette sorelle".

Una precisazione: secondo lo stesso legale di Carlos Marcello, Frank Ragano, Minacori era coinvolto nell'assassinio di John Kennedy.

L'ultimo motivo per cui Buscetta è estremamente credibile, va ricercato nella testimonianza del collaboratore di giustizia Gaetano Ianni: "Per l'eliminazione di Mattei c'era stato un accordo tra gli americani e Cosa Nostra. Che il centro di Cosa Nostra, cioè Palermo, aveva incaricato Giuseppe Di Cristina il quale con la sua famiglia fece in modo che sull'aereo sul quale viaggiò il presidente dell'Eni venisse collocata una bomba".

Secondo il pm Calia infatti, "è inequivocabilmente provato che l'I-Snap precipitò a seguito di una esplosione limitata, non distruttiva, verificatasi all'interno del velivolo".

Si pensa al Compound B, ovvero quell'esplosivo formato in parte o in prevalenza dall'Rdx (T4): l'esplosivo al plastico usato dall'Oas prima, e della mafia corleonese poi.

Secondo le perizie la carica fu piazzata dietro il cruscotto dell'aereo, e quasi sicuramente "fu innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelloni di chiusura dei suoi alloggiamenti".

Curioso a dir poco il luogo dove verrà sabotato l'apparecchio, ovvero "nell'area militare sede del comando anti-Som, da cui dipendono due gruppi di volo, l'87o e l'88o, il primo di stanza a Sigonella e il secondo a Fontanarossa, con propri hangar"(32).

Secondo la vulgata del tempo poi confermata dall'allora capo della questura di Palermo Nino Mendolia, a manomettere l'aereo erano state tre persone: due che si fingevano tecnici, mentre la terza improvvisava il ruolo di un fantomatico capitano dei carabinieri, un certo Grillo (questo fatto viene ripreso anche dal regista Francesco Rosi nel film "Il caso Mattei").

Nelle liste di Gladio, la rete stay-behind italiana, compariranno tali Lucio e Camillo Grillo. Bisogna far notare però che nessun agente al mondo (tanto più uno in procinto di compiere un azione criminale di questa portata) si farebbe largo in aeroporto rivelando la propria identità come avrebbe fatto questo sedicente capitano dei carabinieri.

Molto più interessante invece la presenza del gladiatore Giulio Pauer fra gli uomini addetti alla sicurezza del presidente dell'Eni.

Curiosa quanto bizzarra una dichiarazione resa da Francesco Gironda, ex responsabile del settore guerra psicologica di Gladio: "E come potevamo essere implicati nella morte di Mattei se Enrico Mattei è stato uno dei primi reclutatori di Gladio. Il senatore Emilio Taviani si rivolse a lui chiedendo nomi di partigiani fidati da utilizzare per la struttura di Stay behind, il primo nucleo. Mattei ne fornì molti. E dunque non c' è nulla di strano che fosse gladiatore la sua guardia del corpo Giulio Pauer, morto con lui nell'esplosione dell'aereo".

Inutile dire che Giulio Pauer non morì nell’attentato in quanto non si trovavà a bordo dell’aereo ma anzi, si dimise dall’ENI pochi mesi dopo la tragedia di Bascapè.

Secondo l'ex agente dello SDECE francese (poi passato alla CIA) Thyraud De Vosjoli, la pista da seguire va invece ricercata in tale "Laurent".

Di "Laurent" parla anche il sopracitato Kolosov (uomo del KGB), che lo descrive come "mezzo italiano e mezzo francese. Sapevamo che era un uomo della mafia, ma che era stato nell'Oas francese, e lavorava anche per la CIA. Fu lui che mise la bomba [...] nell'aereo di Mattei".

Se De Vosjoli fa ricadere del tutto ingiustamente l'intera colpa dell'operazione sulla Francia, Kolosov, com'è ovvio che sia, tira in ballo la CIA.

Come andremo a vedere, la contraddizione è del tutto apparente. Scrive lo storico Giuseppe De Lutiis nel libro "Sequestro di verità": "La contraddizione può trovare una sua spiegazione se, calandosi nel clima di quegli anni, si tiene presente la complessa articolazione dell'intelligence francese, e l'antagonismo intestino tra i due principali organi di controspionaggio, la Dst, e la Dgse [il nuovo acronimo dell'SDECE]. Antagonismo che non si esplicava solo in rivalità di bottega, ma vedeva i due organismi su fronti contrapposti anche in merito alle alleanze operative: la Dst rigidamente nazionalista, antisionista e fortemente convinta che la maggiore minaccia non provenisse dall'apparato militare del Patto di Varsavia, ma dalla penetrazione commerciale statunitense nel vecchio continente, e dalle interferenze nella vita politica dei Paesi occidentali, da parte delle strutture di intelligence, sia civili che militari, statunitensi. La Dgse, invece, vedeva in una stretta cooperazione con l'intelligence americana la possibilità di guadagnare la posizione di vertice nella classifica delle nazioni filo-Usa e, di conseguenza, godere di positive ricadute in tutti i settori strategici, a scapito soprattutto della Gran Bretagna e dell'ambiziosa Germania; ma anche l'Italia e la Spagna, benché ritenute concorrenti meno pericolose, erano obiettivi da controllare".

Il concetto "Laurent" viene descritto ancora meglio dal generale ed ex capo dell'SDECE Maurice Belleux, il quale aveva dichiarato al professore Alfred W. McCoy che tutte le operazioni dell'intelligence francese messe in atto dal 1946 al 1954 erano state finanziate grazie al controllo capillare dei traffici di droga indocinesi. Il giochino, all'indomani della disfatta francese nella regione, verrà gestito dagli americani.

Con elevate probabilità invece, la persona fisica "Laurent" non era altro che Jean Marie Laurent, ex ufficiale dell'esercito francese e uomo di fiducia di Guerin Serac (vedi nota 19).

"Si è sostenuto che preziosi elementi informativi sulle attività di Mattei finissero col passare alla Cia, attraverso un rapporto personale fra il colonnello Renzo Rocca, capo della sezione Ricerche Economiche e Industriali (Rei) del Sifar, reclutatore per i gruppi stay behind, coordinatore di finanziamenti industriali americani e italiani per combattere il comunismo - morto in circostanze misteriose -, e Thomas Karamessines, capo stazione della Cia in Italia. Proprio con Karamessines si trovò a cenare, a Washington, la sera della morte di Mattei (poco dopo la mezzanotte italiana, tenuto conto del fuso orario), Pignatelli [rappresentante della Gulf Oil in Italia]. A Pignatelli Karamessines «parve singolarmente teso»; alla cravatta si era attaccato «un piccolo microfono». [...]. Roberto Faenza ha segnalato l'esistenza di un «dossier concernente la morte di Mattei, compilato dalla stazione Cia di Roma il 28 ottobre 1962», negato persino agli inquirenti per motivi «concernenti la sicurezza dello stato» [...]. Karamessines, richiamato negli Stati Uniti subito dopo la morte di Mattei, diverrà capo delle covert action della Cia"(33).

Secondo l’ex generale Nicola Falde, successore di Renzo Rocca al Rei, il suo predecessore, oltre ad essere legato agli americani, era “il referente della lobby informativa inglese”.

Il grande ritorno

Quello stesso 28 ottobre (siamo nel pieno della crisi dei missili a Cuba), il ministro della Difesa Andreotti mise in piedi la commissione farsa che sostanzialmente attribuiva la colpa del disastro al pilota Bertuzzi.
Qualche tempo dopo il generale Giuseppe Casero, uno dei membri della commissione d’inchiesta, sposò Greta Paulas, la vedova di Mattei. Si trattava dello stesso Casero che comparve poi fra gli affiliati alla loggia massonica segreta P2, nonché fra le persone coinvolte nel golpe di Junio Valerio Borghese.

Cefis invece, ad appena otto giorni di distanza dal disastro di Bascapè, viene nominato dal governo (forte dell'appoggio di Fanfani) vicepresidente dell'Eni.

Saltano l'accordo con l'Algeria, un'intesa per il petrolio irakeno e, ciliegina sulla torta, l'Eni si ritira dal mercato britannico.

"Un'atmosfera di sollievo", la definisce il Foreign Office di sua maestà.

Questa "atmosfera di sollievo" non è altro che la prima tappa di un processo che porterà al rovesciamento dei rapporti tra industria pubblica e privata prima, e all'inevitabile commissariamento della classe politica poi.

Sta tutto in un simpatico foglietto della Guardia di Finanza di Palermo datato 26 novembre 1994 (le notizie arrivano dal Sismi): "Nell'ambito di Cosa nostra siciliana e palermitana in particolare, da qualche tempo si stava verificando una sorta di fermento tendente a modificarne gli indirizzi e le linee strategiche". "Sfuggono al momento le esatte motivazioni e connotazioni ma non sarebbe estraneo a una sorta di occulta regia il ruolo dell'anziano avvocato palermitano Vito Guarrasi".

Guarrasi, a lungo sospettato di essere la mente del seqeustro De Mauro, dalla metà degli anni '50 era divenuto il braccio destro di Cefis in Sicilia.

Da sempre in ottimi rapporti con la CIA, l’avvocato palermitano cugino di Enrico Cuccia era iscritto alla massoneria universale di rito scozzese antico e accettato insieme al capomafia Salvatore Greco, ed era inoltre legato a Vito Genovese, boss americano che possedeva il 20% della Murchison Oil, la compagnia del petroliere texano Clint Murchison.

Murchison, dal 1948, insieme a H.L. Hunt ed altri petrolieri texani, era diventato il bancomat di Lyndon Baines Johnson.

Enrico Cuccia invece (il cugino di Guarrasi) era in affari con André Meyer, pezzo grosso della banca americana Lazard. Secondo lo scrittore Joseph Wechsberg, “i Lazard arricchirono a New Orleans”, la stessa città in cui operava il temibile padrino Carlos Marcello.

Ed ecco a voi l'ennesima coincidenza (le chiamano così) di questo racconto.

Dal 1957, era in corso al senato americano una battaglia (portata avanti prevalentemente dal senatore repubblicano del Delaware John Williams) per il ridimensionamento della cosiddetta "oil depletion allowance", una clausola delle tasse federali sul reddito che faceva schifo persino a Milton Friedman. Il giochino funzionava così: i produttori di petrolio potevano chiedere l'esenzione dalla tassa sul reddito per il 27,5% dei loro guadagni come presunta compensazione dell'esaurimento delle riserve petrolifere. Kennedy, che già nel giugno del '60 aveva votato (da senatore) a favore di un ridimensionamento dell'esenzione, da presidente aveva dato il via, a partire dal 1962 con il Kennedy Act, ad una vera e propria guerra silenziosa contro il cartello petrolifero texano.

"Il 16 ottobre 1962 una legge nota come il Kennedy Act eliminò per le società americane che operavano all'estero la distinzione tra profitti rimpatriati e prodotti reinvestiti all'estero. Entrambi, da quel momento, sarebbero stati soggetti alla tassazione americana. [...]. Questa misura mirava all'industria americana nel suo complesso ma colpiva in particolare le compagnie petrolifere che all'estero avevano le più vaste e diverse attività. Alla fine del '61, i petrolieri calcolarono che i loro profitti sui capitali investiti all'estero, che nel 1955 avevano raggiunto il 30 per cento, sarebbero crollati in seguito a questi provvedimenti, al quindici per cento"(34).

Il 17 gennaio del '63 Kennedy proponeva i suoi piani per una riforma delle tasse in cui si andava a colpire anche la "oil depletion allowance". A causa della sua morte bisognerà attendere l'ascesa al potere di Jimmy Carter per vedere la cessazione di questo immenso privilegio.

Disse lo statista John Jay, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti: "Il paese dovrebbe essere governato da quelli che lo possiedono". Detto, fatto.

Note

1 - Profondo Nero, Lo Bianco Giuseppe; Rizza Sandra, Chiarelettere.
2 - Ibidem.
3 - http://archiviostorico.corriere.it/2006/maggio/29/storia_Eugenio_Cefis_partigiano_bianco_ce_0_060529022.shtml
4 - Obiettivo Mattei, Perrone Nico, Gamberetti Editrice.
5 - Ibidem.
6 - Ibidem.
7 - Ibidem.
8 - Ibidem.
9 - Enrico Mattei, Perrone Nico, il Mulino.
10 - Profondo Nero, Lo Bianco Giuseppe; Rizza Sandra, Chiarelettere.
11 - Obiettivo Mattei, Perrone Nico, Gamberetti Editrice.
12 - Ibidem.
13 - Enrico Mattei, Perrone Nico, il Mulino.
14 - Il golpe inglese, Cereghino Jose Mario; Fasanella Giovanni, Chiarelettere.
15 - Una dinastia americana, Phillips Kevin, Garzanti.
16 - Ibidem.
17 - Ibidem.
18 - Il caso Mattei, Li Vigni Benito, Editori Riuniti.
19 - Nel febbraio del '62 entrerà a far parte dell'organizazzione segreta Yves Guillou, conosciuto ai più come Guerin Serac. Stella di bronzo dell'esercito americano per i suoi impegni in Korea e Indocina, Serac faceva parte dell'11 régiment parachutiste de choc, braccio armato dell'Sdece (oggi DGSE), lo spionaggio militare francese. Nel settembre del '66 fonda a Lisbona l'Aginter Press, una fantomatica agenzia di stampa dietro cui si nasconde la più grande centrale terroristica d'Europa: i suoi sponsor principali sono il regime portoghese di Salazar e la CIA. Secondo un'informativa del SID (Servizio Informazioni Difesa), è lui la mente organizzativa dietro agli attentati del 12 dicembre '69 in Italia. Non verrà mai catturato.
20 - Secondo l'ex funzionario dell'Eni Mario Pirani, "quanto agli antichi contrasti con i francesi relativamente agli interessi algerini, vi era stato un chiarimento definitivo attraverso vari colloqui con Claude Cheysson, ambasciatore (futuro ministro degli esteri con Mitterand) che rappresentava gli interessi petroliferi francesi in Algeria dopo l'indipendenza. In questa veste Cheysson aveva ottenuto personalmente da De Gaulle l'autorizzazione a un accordo con l'Eni per una collaborazione con la costituenda Elf [l'Eni francese] e gli algerini, sia per operare in Algeria sia altrove".
21 - Enrico Mattei, Perrone Nico, il Mulino.
22 - Secondo l'ex colonnello dell'esercito americano Fletcher Prouty, collega di Ed Lansdale, il generale nativo di Detroit era il "mastermind" dell'operazione messa in atto contro Kennedy il 22 novembre 1963 a Dallas.
23 - Una dinastia americana, Phillips Kevin, Garzanti.
24 - Ibidem
25 - The secret war, Escalante Fabian, Ocean Press.
26 - http://www.rollingstone.com/culture/features/the-last-confession-of-e-howard-hunt-20070405?page=5
27 - https://www.youtube.com/watch?v=RhszHjeYjA4
28 - http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/12/21/parla-beolchini-quei-dossier-del-sifar-deviato.html
29 - Profondo Nero, Lo Bianco Giuseppe; Rizza Sandra, Chiarelettere.
30 - Ibidem
31 - Il caso Mattei, Li Vigni Benito, Editori Riuniti.
32 - Profondo Nero, Lo Bianco Giuseppe; Rizza Sandra, Chiarelettere.
33 - Obiettivo Mattei, Perrone Nico, Gamberetti Editrice.
34 - Il complotto, Hepburn James, Nutrimenti.

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Per gli altri articoli storici di Massimiliano Paoli (M4X) vedi qui.