Oggi si chiuderà definitivamente la vicenda delle elezioni americane. Come previsto dal calendario infatti, alle nove del mattino del 6 gennaio si riuniranno a Washington in seduta congiunta i rappresentanti della camera e del senato americani, per ratificare il risultato elettorale, e per dichiarare ufficialmente chi sarà il nuovo presidente.

Vi sono molti siti, e molti canali YouTube, che nelle scorse settimane hanno continuato a pubblicare articoli e video nei quali sostenevano che il vice presidente Mike Pence – che presiederà la seduta odierna – possa sovvertire il risultato elettorale, rifiutandosi semplicemente di certificare il voto di alcuni stati.

Ma le cose non stanno così. La procedura funziona in questo modo: il presidente della seduta (Pence) procede a un “roll call”, ovvero chiama gli stati uno per uno, in ordine alfabetico, e chiede al rappresentante di ciascuno stato quale sia il candidato che ha vinto le elezioni in quello stato.

Se nessuno ha da obiettare, lo stato viene definitivamente assegnato al candidato indicato. Ma è sufficiente che un solo senatore e un solo deputato sollevino un’obiezione sul risultato finale, perché l’assegnazione di quello Stato venga sospesa, e il risultato venga messo ai voti.

Quindi noi sappiamo già che ci saranno almeno sei casi - Arizona, Georgia, Pennsylvania, Michigan, Nevada e Wisconsin – nei quali ci saranno almeno un senatore repubblicano (probabilmente Ted Cruz) e un deputato repubblicano che contesteranno il risultato finale. Si aprirà quindi una discussione su ciascuno di questi stati, che si concluderà con una votazione.

Ma è qui che le speranze di Donald Trump vanno in briciole: affinché il risultato di un certo stato venga ribaltato, è necessario che votino in quel senso sia il senato che la camera, che però votano separatamente. E quindi impensabile che la camera, a maggioranza democratica, decida di ribaltare il risultato di un qualunque stato a favore di Donald Trump, figuriamoci tutti e sei. E fra le fila degli stessi senatori ci sono moltissimi repubblicani che hanno già dichiarato che non faranno mai una cosa del genere. (In realtà, sono solo 13 su 52 i senatori rep che hanno deciso di dare battaglia).

Per questo motivo, si rischia al massimo di avere una sessione di certificazione molto più lunga del previsto, che si trascinerà probabilmente fino a notte fonda, ma il risultato appare scontato. Nelle prossime 24 ore Joe Biden sarà ufficialmente dichiarato il nuovo presidente degli Stati Uniti.

A questo si aggiunga che proprio mentre scriviamo sta per confermarsi la vittoria dei due senatori democratici in Georgia, contro i loro sfidanti repubblicani. Uno dei due, Warnock, è già dato per vincitore, mentre il secondo, Ossoff, è in vantaggio di 50,2 a 49,8% sull’avversario repubblicano, con il 99% dei voti già contati.

Questo significa che in senato ci saranno, in tutta probabilità, 50 senatori democratici e 50 repubblicani. Con la parità assoluta, il voto decisivo diventa quello del vicepresidente, Kamala Harris. I democratici avranno quindi quella che viene definita una “supermajority”, ovvero il controllo completo di Casa Bianca, camera e senato. Per i prossimi due anni potranno fare quello che vorranno, almeno fino alle elezioni di mid-term del 2022, dove si tornerà a votare per la camera e per un terzo del senato.

Ora qui non si tratta di parteggiare per l’uno o l’altro candidato, o per l’uno o l’altro partito: si tratta semplicemente di riconoscere la realtà oggettiva dei fatti. Sic stantibus rebus, il Deep State ha vinto.

Le conseguenze di questa vittoria, purtroppo, cominceremo a vederle molto presto in tutto il mondo. A partire proprio dalle politiche nazionali sulla gestione del Covid.

Massimo Mazzucco