Quando ho sentito il primo ministro Conte che, di fronte all’annuncio dei dazi che gli americani vogliono imporci, ha commentato abbacchiato: “Faremo il possibile per contenere i danni”, mi è venuto un impulso di rabbia. “Ma come - mi sono chiesto - questi vengono qui, ci annunciano che danneggeranno in modo sostanziale le nostre esportazioni di prodotti alimentari verso gli Stati Uniti, e noi non facciamo niente? Ma perché allora noi non gli mettiamo dei dazi sulle gomme americane, sui blue-jeans, sui film di Hollywood, sulle automobili di Detroit, e su tutto quello che importiamo dall’America? La Jeep adesso la fanno in America, giusto? E allora perchè non mettiamo alla Fiat–Crysler dei bei dazi sulle importazioni delle loro macchine, e facciamo pari e patta?”

Poi qualcuno mi ha spiegato che in realtà questa legnata dei dazi ce la meritiamo, perché siamo stati noi europei, per primi, a violare gli accordi internazionali, nell’ambito del progetto Airbus. Per cui questo non sarebbe altro che un “pareggio dei conti” rispetto ai vantaggi che avremmo avuto in precedenza.

Però in realtà le cose non stanno così, perché se si ascolta con attenzione l’intervista che il segretario di stato Pompeo ha rilasciato a La Stampa l’altro ieri, si capisce benissimo, fra le righe, che siamo di fronte ad un ennesimo ricatto da parte degli americani. Pompeo infatti ha detto “cercheremo di venire incontro ai vari paesi europei”, ma nel frattempo ha anche buttato là il pericolo che noi intratteniamo relazioni troppo strette con la Russia e con la Cina. “L’Italia è un meraviglioso alleato - ha detto Pompeo - per il modo eccezionale in cui mantiene qui le nostre truppe militari”, come a ricordarci che il nostro ruolo è quello di servitori di sua maestà l’impero americano, e che da quel ruolo non possiamo sfuggire.

I dazi non sono altro che la carota che viene fatta dondolare davanti ai nostri occhi, mentre Washington, nell’altra mano, continua a tenere fortemente impugnato il bastone.

Massimo Mazzucco