Questo articolo propone una interessantissima analisi del linguaggio subliminale della politica.
di Fabrizio Luisi
La politica si è trasformata in storytelling: e allora proviamo ad analizzare archetipi e ruoli incarnati dai principali partiti italiani, tra «guerrieri», «sovrani», «persone comuni» & co.
Degli ultimi mesi di vita politica italiana un aspetto che mi ha molto colpito è la scarsa competenza in comunicazione politica delle forze progressiste. Ma dal momento che ogni narrazione esiste in relazione alle storie che la circondano, per capirci qualcosa tento un’analisi sommaria dell’intero ecosistema narrativo italiano.
Leggere la politica solo come un insieme di «storie» create da a tavolino da esperti di comunicazione può sembrare un approccio cinico, ma il fatto è che si tratta solo di strumenti. Chi li sa usare, può vincere. Chi non li usa non entra neanche in partita. E no, gli spin doctor e lo storytelling politico non rappresentano una degenerazione della vita democratica, ma piuttosto la naturale articolazione del tipo di democrazia – quella rappresentativa ed elettiva – che ci siamo scelti.
Come strumenti uso l’archetipo (struttura psichica ancestrale che funge da mappa congnitiva, attivatore emozionale, e che si traduce in rappresentazioni sociali), la voce (come si esprime l’archetipo), la narrazione (la storia che la voce racconta).
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Questa storia della manina comincia a diventare interessante, perchè ciascuna delle ipotesi possibili comporta un retroscena di per sè devastante.
IPOTESI "MANINA": La prima ipotesi è che veramente qualcuno della Lega abbia interpolato il testo incriminato per fare un favore all'elettorato di destra, decisamente più interessato di quello dei 5 Stelle ad un qualunque "aiutino" sul fronte dell'evasione. Che la "pace fiscale" piaccia più a destra che a sinistra non è un mistero per nessuno.
IPOTESI "MANO MORTA": La seconda ipotesi è che Di Maio abbia fatto una sceneggiata, per far digerire al popolo 5 Stelle una misura che egli in effetti aveva concordato con Salvini, ma che non aveva il coraggio di difendere pubblicamente.
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Vi sono due casi recenti - quello di Riace e quello di Lodi - che suggeriscono come la Lega possa facilmente compiere dei passi falsi nella sua strategia anti-immigrazione. E questo, a lungo termine, potrebbe daneggiare il governo intero (nel senso di una sostanziale perdita di consensi sull'argomento immigrazione).
Nel caso di Riace, l'errore sta nell'aver voluto puntare i riflettori su un sindaco che ha molti più argomenti a suo favore che non argomenti contro: per quanto lo si possa accusare, tecnicamente, di non aver seguito certe procedure di legge, il suo merito di aver creato un ottimo esempio di integrazione è innegabile. E ora che le questioni legali passano in secondo piano, quello che resta nella percezione della gente è che un sacco di immigrati che stavano bene e che si erano integrati serenamente con la popolazione locale ora dovranno andarsene da Riace (oppure dovranno rinunciare ai sussidi, che equivale in qualche modo ad obbligarli ad andarsene).