Dopo il mio articolo intitolato "Votare non serve?" ho ricevuto due articoli di risposta, da parte di due utenti del sito, Tianos e Musicband. Li pubblico insieme, in modo da unificare i commenti del thread.

I passi per una rivoluzione impossibile - di Tianos

Da parte mia sono completamente confuso, per questo ho meditato a lungo sul concetto di governo e politica, sul metodo o meno per organizzare una società e con questo articolo cercherò di tenere quel punto centrale che questo dubbio mi costringe.

Da quando l'essere umano si è aggregato, ha cercato comunque una divisione dei compiti, è un processo naturale per ottenere il massimo profitto dal minimo sforzo, ma questo in ogni caso vuol dire delegare ad altri compiti che potremmo compiere noi, forse persino meglio.

È un problema di fondo della superbia umana, un difetto adolescenziale che ogni essere umano porterà con se fino alla vecchiaia e che solo pochi uomini riescono a contenere.

Andiamo ad esempi: anche solo in un villaggio tribale con poche decine di famiglie, esistevano raccoglitori e cacciatori, chi era delegato alla lavorazione del cibo o chi per la produzione dei vestiti; inutile dire che anche in villaggi cosi piccoli non tutti fossero del tutto contenti del loro compito.

Spesso tali villaggi vengono “governati” da un gruppo di anziani, generalmente sia perché il fisico non permette più a questi individui i compiti più gravosi, sia e sopratutto per la loro esperienza.

Spesso tali tipi di “governo” vengono presi ad esempio da chi è sostenitore dell'anarchia o di un livello di civiltà più vicino possibile a questo concetto (l'anarchia per la verità è un concetto inapplicabile, anche solo in un piccolo ambiente lavorativo, la verità e che spesso l'ideologia viene soppiantata dal rispetto verso una persona che istintivamente o razionalmente si riconosce più saggia per organizzare un lavoro, oppure dall'aggressività di uno sugli altri).

La verità è che anche “governi” così piccoli, spesso finivano per farsi guerre coi vicini, oppure venivano influenzati dalle pressioni di “gruppi di potere” nel prendere decisioni che solo col senno di poi potevano essere giudicate giuste o sbagliate.

Osservare le guerre degli indiani d'America, anche prima dell'arrivo degli “occidentali” può essere indicativo, anche perché, quella dei nativi, era a parer mio il tipo di governo più equo e saggio che può essere preso in considerazione.

Persino nelle “società” di primati si sono riscontrati episodi di sterminio di altri gruppi o forme di dittature di primati più aggressivi.

L'anarchia pura è quindi un concetto che può trovare forse applicazione in piccolissime aggregazioni di uomini.

Una piccola precisazione prima di addentrarmi nell'articolo vero e proprio: perché prendo sempre a riferimento la guerra? Perché è la più limpida manifestazione dell'avidità, della superbia, della paura di rimanere senza cibo o della possibilità di riprodursi...Citando Tullio Ostilio “la guerra è per i vivi, la pace per i morti”.

Esisteranno sempre movimenti per prendere il potere, ma questi non sono impossibili da battere o da prevaricare, ma questo vuol dire solo sostituire il potere altrui a proprio...sicuri poi di essere governanti più giusti?

Primo punto: Chi? Quindi.

Un bel dilemma; al tempo della fondazione di Roma, due culture principali si unirono i Latini e gli Etruschi. E prima della fondazione dell'impero i re venivano “eletti” dal popolo a rotazione. Indicativo il re Numa, che malgrado l'avanzata età e il suo iniziale dubbio divenne un buon reggente.

Anche l'imperatore Claudio, padre adottivo di Nerone, fu incoronato dalla guardia pretoriana dopo che essa assassino Caligola. Lo stesso imperatore Claudio pensò sarebbe finito ucciso, invece fu la stessa guardia pretoriana ad indicarlo come successore. Tutti pensavano a quell'uomo come a una personalità debole e di poco intelletto, eppure anche con la moglie fedifraga (Messalina è ancor oggi sinonimo di donna dai facili costumi a Roma) riuscì a governare un impero gigantesco e in modo “decente” sopratutto rispetto al suo predecessore, forse per il suo amore per la storia.

Un appunto: i primi cinque imperatori di Roma erano tutti parte della stessa famiglia.

Qual'è il sunto quindi? Forse la persona migliore per governare dovrebbe essere proprio una che umilmente non pensa ne sarebbe in grado, questo punto darebbe ragione a chi sostiene che questo sistema è sbagliato, dato che chi si candida è per definizione una persona che cerca quel potere. Il problema di una società complessa però e proprio la necessità di una certa dose di cinismo, pelo sullo stomaco e di autoritarismo, che di norma non sono doti di una persona umile ed empatica.

Punto secondo: Dove? Qui si entra in un ambito più filosofico. Non solo perché credo che il concetto “ogni popolo si merita chi lo governa” debba essere ribaltato, ma perché se davvero si trovasse una persona giusta potrebbe ribaltare le sorti di un intero stato. Putin ne è un esempio anche per i denigratori, pur potendo essere un dittatore, un mafioso o anche l'anticristo è indubbio che abbia ribaltato le sorti della Russia, o almeno del cammino che aveva intrapreso dopo Eltsin. Prima della sua elezione gli stessi Russi si consideravano degli ubriaconi rozzi ed incolti (alcuni quindi si erano indentificati in Eltsin), auto consapevolezza che è cambiata con l'avvento di Putin.

Da una parte un potere centellinato e di piccole dimensioni è più sicuro per evitare un cataclisma geopolitico di grosse dimensioni, dall'altra un potere centralizzato potrebbe evitare o perlomeno arginare piccoli conflitti regionali (sempre che questi non siano di interesse di un gruppo o dell'altro, vedi America). Credo in definitiva che Montesquieu avesse profondamente ragione “il potere corrompe, il potere assoluto corrompe in modo assoluto”. Ogni zona e ogni realtà ha bisogno credo di un certo tipo di governo o di autogoverno, un'altro problema che sorge è che spesso chi ha già il potere non solo non vuole cederlo, ma che difficilmente vede alternative o adattamenti intelligenti alla visione corrente.

Punto terzo: Proprio per quanto citato sopra è importante anche la durata di questo potere, ossia il “Quando” delle cinque domande del giornalismo. Una durata troppo lungo calcifica il potere e spesso permette a chi lo detiene di appropriarsene in modo indefinito.

Il problema di fondo della nostra società però è che spesso viene solo “cambiata la musica” ossia chi presta la sua faccia, ma non i gruppi di potere che ne tirano le fila.

Ad ogni vero cambiamento di politica non solo si dovrebbe cambiare il partito, il re, ma anche ogni suo affiliato, e sopratutto evitare in ogni modo che gruppi di grossa influenza possa fare pressioni: un problema a dir poco insormontabile, del resto anche questa, anche seppur corrotta, mafiosa e deviata è una forma di “democrazia”.

In questo senso sono un po' di parte nel giudicare gli anarchici puri un poco superficiali, anche senza un governo, infatti, si formerebbe un governo. In questo senso è giusto dire che il voto sia inutile, esso non può cambiare il potere regnante come un colpo di spugna sulla lavagna, quelli sono i colpi di stato, ma le pressioni sociali di persone che si coalizzino possono fare sicuramente una differenza. Quindi la decisione rimane se cercare di cambiare le cose con la violenza o con la pazienza e la costanza.

Punto quarto: Perché? La risposta a questa domanda è sotto gli occhi di tutti e scritta nei libri di storia: conflitti, che volenti o nolenti per le caratteristiche umane sono ciclici. Il metodo di governo deve cambiare! Forse in modo ciclico.

Tenendo conto poi del numero sempre maggiore di umani in uno spazio ristretto, le conseguenze possono diventare catastrofiche. Credo sia questo il punto centrale della idea di diminuzione della popolazione umana: non la carenza di cibo, o il ribaltamento del potere dal basso, ma che un conflitto di tali proporzioni tra la maggioranza dei popoli della terra, azzererebbe la società umana riportandola a livello tribale. (p.s. Detesto questo concetto, come detesto ogni gruppo di potere che cerchi di manipolare la società in modo nascosto, ma devo dire che anch'io ho preoccupazioni in questo ambito.)

Molti hanno pensato ad un governo guidato da un' A.I., un'intelligenza scevra da sentimenti e difetti. Chi ha fede, spera nel ritorno di Cristo (un guida Saggia che sia divinamente ispirata, ossia che sappia già in anticipo quale sia la decisione migliore da prendere volta per volta).

Molti puntano ad un'unica guida, ad un governo mondiale, ma questa potrebbe essere una scelta catastrofica, un unica scelta sbagliata, infatti, si riverserebbe sull'intera popolazione. Una società frammentata pur se colpita da guerre regionali potrebbe essere una società più vitale..sempre se una regione non riuscisse nel tempo ad imporsi a tutti.

Ultimo punto: Come? Qua non metterò il condizionale: Non esiste risposta! Ogni persona che pensa di avere risposta, si culla solo nell'eterna ignoranza dell'unica legge del caos che regola l'universo: l'essere umano. Settantacinque anni di “pace” (parola grossa) forse sono stati solo una casualità, e a meno di non diventare tutti automi ordinati, formiche senza volontà indifferenti alla propria morte per il bene della colonia, nasceranno sempre gruppi che cercheranno di prendere il potere, qualsiasi sia la forma di governo o l'ideologia che le caratterizzerà, che sia comunismo, nazismo, liberismo, o anche un' amalgama di tutte le parti.

Sapere però quale forma di governo potrebbe essere più equo di un' altro e difficile dirlo, la monarchia può essere più illuminata di una democrazia, un'oligarchia , più saggia di un regime (ricordate in quanto poco tempo il c.f.c. fu bandito dal mondo intero?) ma credo che a questo punto sia solo questione di fortuna, destino, perché anche il governo più idealista potrebbe prendere una decisione catastrofica.

Credo che la verità è che non esista una qualsiasi aggregazione di uomini che non debba costantemente adattarsi al tempo che scorre per organizzarsi, una lotta continua, un cercare di fare continue pressioni per poter ottenere un briciolo di ciò che ognuno di noi pensa sia giusto...Visione che si discosta da persona a persona, naturalmente.

C' è chi vorrebbe l'astensionismo più completo per far comprendere il proprio disgusto, chi che fosse presente una voce nella scheda elettorale che possa dichiarare che non troviamo nessuno che ci rappresenta, l'unico metodo per ottenerlo e lottare però: l'inazione non porta mai ad una reazione.
La mia soluzione personale sarebbe un governo formato di piccole parti, differente a seconda della popolazione e dalla cultura del luogo, nel tentativo di diminuire i rischi di arginare gli errori. Cercando uomini retti del luogo e chiamandoli alle “armi” perché la politica è sempre una guerra, come la guerra e solo l'ultima carta della politica. Del resto come si dice “moglie e buoi dei paesi tuoi”.

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Del non voto - di Musicband

Premessa: quella che segue è semplicemente la mia opinione: “La ragione per cui” penso in un certo modo rispetto a un dato argomento.

Esercito il pensiero critico per oppormi al bipensiero e al pensiero unico. Ritengo che la propaganda, argomento che studio da molto tempo, abbia fatto molti più danni di quanto, anche i più attenti, riescono a notare o immaginare e non me ne sento immune così come non mi sento sopra le parti. Ecco perché, esercitandomi a ragionare, intendo contrastare questo pericolo sempre incombente del conformismo.

Se votare facesse qualche differenza non ce lo lascerebbero fare (Mark Twain).

La differenza tra una democrazia e una dittatura è che in una democrazia prima voti e poi prendi ordini; in una dittatura non devi perdere tempo a votare. (C. Bukowski).

Nessuno ha il diritto di mettere un essere umano in condizione di potere politico, e, dunque di predominio su un altro uomo. Chiunque mette un uomo in una posizione di potere politico, dovrebbe condividere la responsabilità per ogni diritto violato da quell'uomo in seguito. (Wendy McElroy).

Vi sono tre tipi di tiranni: gli uni ottengono il regno attraverso l'elezione del popolo, gli altri con la forza delle armi, e gli altri ancora per successione ereditaria. Chi lo ha acquisito per diritto di guerra si comporta in modo tale da far capire che si trova, diciamo così, in terra di conquista. Coloro che nascono sovrani non sono di solito molto migliori, anzi essendo nati e nutriti in seno alla tirannia, succhiano con il latte la natura del tiranno, e considerano i popoli che sono loro sottomessi, come servi ereditari; e, secondo la loro indole di avari o prodighi, come sono, considerano il regno come loro proprietà. Chi ha ricevuto il potere dello Stato dal popolo [...] è strano di quanto superino gli altri tiranni in ogni genere di vizio e perfino di crudeltà , non trovando altri mezzi per garantire la nuova tirannia che estendere la servitù ed allontanare talmente i loro sudditi dalla libertà , che, per quanto vivo, gliene si possa far perdere il ricordo. A dire il vero, quindi, esiste tra loro qualche differenza, ma non ne vedo affatto una possibilità di scelta; e per quanto i metodi per arrivare al potere siano diversi, il modo di regnare è quasi sempre simile. (Etienne de La Boètie, Discorso sulla servitù volontaria)

La democrazia è due lupi e un agnello che votano su cosa mangiare a pranzo. La libertà un agnello bene armato che contesta il voto (Benjamin Franklin).

Come un uomo che ha il diritto di votare e passa la sua vita a delegare, e nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà (Giorgio Gaber – La libertà).

Accodandomi al pensiero comune condiviso, ho sempre votato ritenendolo un diritto; ho contestato chi non votava accusandolo di nichilismo e complicità nel disastro della “cosa” pubblica e ho sempre paventato il ritorno alle dittature del passato, scordandomi forse, che molte di quelle dittatura all’epoca furono acclamate a furor di popolo.

Poi un giorno, qualcuno mi sbattè in faccia la mia pigrizia mentale accusandomi di crogiolarmi nell’illusoria soddisfazione di aver dato il mio contributo, di aver “agito” con una crocetta su un pezzo di carta. Quando in realtà trascinavo la mia vita in una routine senza fare davvero nulla per vedere un cambiamento ma lamentandomi sempre per tutto ciò che inesorabilmente e da una vita continuava a non funzionare, con l’aggravante che nel mezzo di tutto questo il tempo passava inesorabilmente e io diventavo sempre più vecchio. Un circuito chiuso dove tutto si ripete sempre uguale a sé stesso con una sola differenza: se vince il partito che non hai votato, la colpa è dei cretini che hanno mandato al governo ladri e farabutti, se vince il partito che hai votato, il governo è ladro e farabutto e basta, con un meccanismo di difesa che ti impedisce di darti del cretino e ti illude di provare la prossima volta qualcun’altro.
Eppure non mi definirei uno a cui non importa di quello che succede; ho scritto articoli, fatto interviste, tenuto lezioni, collaborato con altri, dato una mano dove possibile. Ma per chi vota sembra incredibile (come lo sembrava a me) che chi è interessato a quello che succede nel mondo possa non votare. Le accuse più gettonate sono quelle di nichilismo, apatia, anche stronzaggine perché chi non vota poi non deve lamentarsi perché in uno stato democratico votare, è il modo per cambiare le cose.

Impegnandomi a riflettere e studiare, mi sono reso conto che sulla democrazia e sul voto esistono tutta una serie di luoghi comuni certamente alimentati da una propaganda e da un indottrinamento che inizia fin dai primi giorni di scuola.

Se fossi un apatico o un nichilista certo non avrei mai scritto nulla né mi sarei adoperato nel collaborare con altri e nell’aiutare chi potevo.

Come scrive Vagabond Theorist: “...Per poter esistere, le istituzioni dominanti devono toglierci la nostra capacità di creare le nostre vite per noi stessi. Lo fanno trasformando la nostra energia in un’attività che riproduce le istituzioni, e vendendoci parte del prodotto di questa attività… Ma, soggettivamente, noi diventiamo nemici di questa società quando decidiamo di riprenderci le nostre vite e iniziamo ad agire in questo senso…”

“...cosa significa per me il voto? Innanzitutto, consideriamo il genere di scelta che abbiamo nella scheda. Tutte queste decisioni possono essere ridotte a due domande: 1) chi vogliamo che ci governi? e 2) con quali regole vogliamo essere governati?...”

“...Queste domande in sé presumono che non dobbiamo e non possiamo essere i creatori delle nostre vite, che dobbiamo consegnare la nostra capacità di decidere ed agire ad altri i quali determineranno le nostre condizioni di vita sulla base di regole già esistenti. Ma un’elezione non presenta neppure queste due domande in maniera aperta, non permette all’elettore di scegliere liberamente. Ciò è impossibile poiché i candidati ufficiali non prendono in considerazione quanto la gente descrive di volere, nemmeno all’interno dell’ambito limitato di queste domande. Piuttosto, ci viene data l’opportunità di scegliere fra alcuni candidati — individui che vogliono esercitare il potere sugli altri, sebbene in nome del “bene comune”. Candidati che ci vengono presentati da politici professionisti, gente che ha il denaro e il tempo per determinare le questioni su cui ci lasceranno votare sì o no. Nessuno di loro metterà in discussione l’ordine sociale esistente, giacché lo stesso meccanismo elettorale presuppone la necessità di questo ordine.

Perciò votare significa null’altro che scegliere a quale dei pochi padroni presenti sulla scheda l’elettore preferisce obbedire, e con quale delle potenziali regole presenti sulla scheda l’elettore vuole essere governato. Poiché il processo democratico si basa sulla regola della maggioranza, la “scelta” dell’individuo non determinerà comunque quale genere di servitù dovrà sperimentare. Sarà la scelta della “maggioranza” a determinarla per chiunque.
Insomma, votare non è agire, né assumersi la responsabilità della propria vita. Ne è l’esatto opposto. Quando le persone votano, stanno affermando di accettare l’idea che altri debbano determinare le condizioni della loro vita e del loro mondo. Stanno sostenendo che altri devono determinare i limiti delle scelte che fanno, preferibilmente semplificando queste scelte in mere decisioni questo/quello. Stanno delegando ad altri la responsabilità di prendere decisioni. In altre parole, chi vota sta ammettendo di accontentarsi di lasciare la propria vita nelle mani di altri, di rifiutare la responsabilità di creare la vita come la desidera, di evitare il compito di trovare i modi di decidere ed agire direttamente con altri che potrebbero portare a una reale trasformazione della realtà sociale...”

“...Io voglio creare da me la mia vita. Voglio trovare altri con cui creare modi di agire liberamente insieme per determinare le condizioni delle nostre vite nei nostri termini, senza governanti o strutture istituzionali che definiscono la nostra attività. In altre parole, voglio vivere in un mondo senza padroni né schiavi. Quindi, non voto. Un simile desiderio non potrebbe mai adattarsi a un’urna elettorale. Viceversa, faccio del mio meglio per creare la mia vita in rivolta contro l’ordine dominante. Parlo con gli altri attorno a me della nostra vita e di quanto accade nel mondo, al fine di trovare complici nel crimine definito libertà. Ed agisco, da solo quando è necessario e con altri quando è possibile, verso la realizzazione della vita e del mondo che desidero e contro l’ordine esistente e la miseria che esso impone ovunque alla vita.”

Vedendo poi come la propaganda agisce sulle masse è abbastanza ovvio che una persona che vota è comunque costretta a subire il voto della maggioranza e se la maggioranza è indottrinata il singolo è costretto a subire anche l’idiozia, se l’idiozia fa parte di quella maggioranza.

Credo certamente che ci sia bisogno di regole per impedire di replicare all’infinito la dualità: Schiavo/Padrone ma credo anche che un potere centrale e centralizzato per sua stessa natura non potrà far altro che continuare a mantenere questo status-quo come in effetti è sempre stato fino ad ora.

Oggi comprendo una realtà lampante e sotto agli occhi di tutti che come molti altri però, non avevo mai visto prima: se il voto servisse davvero a qualcosa, se un qualsiasi partito al governo facesse davvero gli interessi del popolo, oggi non saremmo a questo punto di divario sociale tra pochissimi ricchi e sempre più poveri e il totale disastro in termini di libertà e libero pensiero.

Non sarebbe necessaria tutta la propaganda che ogni giorno viene diffusa in dosi massicce, non servirebbero i manganelli per quelli che alzano la testa.

Come scrive Mirco Mariucci: “...La grande efficacia della dittatura camuffata da democrazia risiede nella strategia di condizionare il pensiero per poi lasciar agire gli attori sociali in effettiva condizione di libertà, fin quando l'azione di qualcuno di essi non minacci effettivamente il dominio dei reggenti o non entri in contrasto con le finalità e gli interessi dei gruppi di potere."

È solo a quel punto che i detentori del potere interverranno in modo specifico con i provvedimenti che riterranno più opportuni per neutralizzare i comportamenti “devianti”, valutando a seconda dei casi che gli si presenteranno.

Ciò rafforza la generale convinzione di essere liberi, limita l'uso di strumenti repressivi allo stretto necessario e rende decisamente stabile il sistema, consentendo, nel suo complesso, il raggiungimento di un livello di controllo sociale assai più elevato rispetto a quello di un totalitarismo esplicito...”

“...La narrazione secondo la quale gli esseri umani possono realizzarsi mediante il lavoro fa parte dell'inganno: per come è organizzato oggi il mondo del lavoro, il lavoro non serve ad emanciparsi ma a diventare degli schiavi.

L'unica possibilità concessa alla massa consiste nello scegliersi la propria tipologia di schiavitù, sempre ammesso che nel mercato del lavoro, ovvero nella moderna tratta degli schiavi, vi sia richiesta di schiavitù.

Già, perché in caso contrario si è “liberi” di emigrare, di finire in povertà ai margini della società e di soffrire il freddo e la fame, a seconda dei casi. E mi raccomando: guai a protestare!

Perché in quel caso i manganelli dati in dotazione alle forze dell'ordine colpirebbero le vostre zucche vuote per ripristinare l'ordine pubblico e per ricordarvi che viviamo in una “democrazia”.

Certo: viviamo in una "democrazia", fin quando il volere del popolo collima con quello di chi detiene il potere e ciò che viene imposto dall'alto è tollerato dalle masse.

Quando ciò non accade, ecco che lo Stato ricorre alla propaganda e alla violenza, perché oggi è concessa soltanto la “libertà” di fare ciò che è compatibile con il sistema capitalistico-finanziario.

E disgraziatamente quel sistema non prevede affatto l'esercizio di una vera forma di libertà per gli esseri umani, ma il loro totale asservimento alle sue logiche, tanto dispotiche quanto distopiche...”

Fa notare Hans Hermann Hoppe:

“...La selezione dei capi di governo per mezzo di elezioni popolari rende quasi impossibile che una persona buona o inoffensiva possa mai arrivare al vertice. I primi ministri ed i presidenti sono selezionati per la loro provata efficienza come demagoghi moralmente disinibiti. Quindi la democrazia virtualmente assicura che soltanto uomini malvagi e pericolosi arriveranno al vertice del governo. Effettivamente, come conseguenza della libera concorrenza e selezione politica, coloro che salgono si trasformeranno in individui sempre più malvagi e pericolosi, tuttavia in quanto custodi provvisori ed intercambiabili soltanto raramente verranno assassinati...”

Se ci si pensa un attimo, i primi a non offrire alternative a questo sistema siamo noi stessi perché ci è stato insegnato che l’unica alternativa possibile equivale a un disastro: anarchia, caos o peggio; un nuovo Hitler.

L’iniziativa di un privato che ha creato il bitcoin proprio per sganciarsi dalla schiavitù monetaria è stata prima derisa, poi attaccata e contemporaneamente mistificata con l’adozione di nuove criptomonete controllate però dagli istituti bancari. Chi ne ha capito la portata è spaventato e cerca di correre ai ripari, il popolo, che ne sarebbe il maggior beneficiaro in termini di rivoluzione a suo vantaggio preferisce continuare a mettere crocette invece di impegnarsi a capire un argomento oggettivamente difficile (ma necessario per tutti quelli che anelano al cambiamento) agendo concretamente. Tra questi mi ci metto pure io: ho evitato di mettermi a studiare all’epoca perché troppo ostico e perché “queste materie non mi interessano” (l’idiozia di non capire come invece influenzavano la mia quotidianità), con il risultato che ora sono rimasto indietro.

Credo che il cambiamento passi necessariamente attraverso noi stessi, da tutte le piccole cose che si possono fare nella quotidianità, nel rispetto per la propria e l’altrui dignità. A mio avviso, riconoscere l’inganno e evitare di farne parte è un modo di agire.

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Anche Dusty ha segnalato un articolo su questo argomento: Come risolvere il problema italiano: piccolo è bello