In questi giorni si sente spesso parlare della possibilità dell’uso di armi nucleari “tattiche”, nello scenario di guerra dell’Ucraina.

Secondo la definizione corrente, queste sarebbero “piccole” armi nucleari, con un potenziale distruttivo ridotto. Il loro uso provocherebbe quindi un danno relativo, che sarebbe limitato ad obiettivi strategici o comunque militari. In altre parole, viene fatta passare l’idea che esista uno stadio intermedio fra le armi convenzionali e quelle nucleari vere e proprie, e che l’utilizzo di queste armi nucleari “tattiche” non debba portare necessariamente alla escalation irreversibile di una totale guerra atomica.

Questa ipotesi, tanto cara ai guerrafondai che sperano di vedere i fuochi d’artificio in Ucraina, è stata totalmente smentita circa quarant’anni fa, da una simulazione di guerra voluta da Ronald Reagan, chiamata Proud Prophet.

 

Eletto nel 1980, Reagan si ritrovò alla presidenza degli Stati Uniti in uno dei momenti più delicati di tutta la Guerra Fredda. L’unica dottrina che imperava allora era la cosiddetta MAD, che sta per “mutually assured destruction”, ovvero distruzione reciproca assicurata. In base a questa dottrina, l’unico deterrente che potesse fermare una guerra nucleare era la certezza che ambedue le nazioni sarebbero state completamente distrutte.

Ma fu a quel punto che qualcuno nel Pentagono introdusse un altro concetto. Si chiamava: “escalation to de-escalation”, ovvero una escalation militare, eseguita con bombe nucleari di bassa potenza, intesa proprio a convincere l’avversario a demordere, prima di arrivare al famoso punto di non ritorno.

Naturalmente, per chi non sia malato di militarismo, questo era un ragionamento che non stava in piedi. Ma ci volle una vera propria esercitazione a tavolino per dimostrarlo. Fu così che nacque Proud Prophet.

Una simulazione complicatissima, che durò due settimane, nella quale una parte dei militari rappresentavano la logica del Pentagono, e l’altra rappresentava la logica del Cremlino. In altre parole, ogni decisione presa durante la simulazione andava fatta mettendosi nei panni o dell’una o dell’altra parte.

Ciascuna delle due parti, ovviamente, non era al corrente dei piani dell’avversario, e doveva prendere decisioni in tempi molto ristretti, basandosi solo su quello che accadeva sul campo di battaglia.

E così, fu presto chiaro che l’utilizzo delle cosiddette armi nucleari tattiche avrebbe solamente rimandato la conclusione irreversibile, quella appunto di una guerra atomica totale. Non c’era scampo: una volta lanciata la prima, la sequenza di eventi avrebbe portato la scala della distruzione completamente fuori controllo.

Che oggi ci siano militari, dall’una e dall’altra sponda che amano giocare con queste ipotesi, è qualcosa di comprensibile: in fondo la guerra è fatta anche di dichiarazioni e di bluff, più o meno fondati e credibili. Quello che invece non è accettabile e che da noi ci siano giornalisti e “opinionisti” di ogni sorta, che continuano a parlare allegramente dell’uso di armi nucleari “tattiche”, come se non dovessero portare necessariamente ad una escalation irreversibile.

Le guerre si combattono con le armi, ma le guerre si possono combattere soltanto con il supporto dell’opinione pubblica di ciascun paese coinvolto. E l’opinione pubblica del nostro paese – che è comunque coinvolto, anche se in modo indiretto - è purtroppo nelle mani di giornalisti prezzolati, che pur di fare contenti i loro padroni della Nato non esitano ad introdurre nel pubblico discorso argomenti che invece dovrebbero esserne categoricamente esclusi, per motivi che non dovremmo nemmeno stare qui ad invocare.

Massimo Mazzucco

Articolo su Timeline.com

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