di Simone Lombardini per MePiù

Mohamed Konarè, nella sua ultima intervista su MePiù che ho avuto il privilegio di ascoltare in anteprima, ha descritto le sorti della sua gente con una immagine particolarmente vivida. “L’Africa e i popoli che la abitano, vivono oggi nel più grande Lager a cielo aperto che la storia abbia mai conosciuto”. Tutte le principali potenze economiche della Terra, Francia, Inghilterra, USA, Cina, India guardano all’Africa come un semplice deposito di materie prime da depredare. Nessuna di queste potenze è interessata alle sorti del miliardo di persone che vive in quelle terre.

 

Mawuna Remarque Koutonin, uno dei più noti blogger africani, denuncia che “Quattordici paesi africani sono obbligati dalla Francia, attraverso il patto coloniale, a collocare le loro riserve presso la Banca di Francia, sotto il controllo del Ministero delle Finanze francese, Il Togo e altri 13 paesi africani devono ancora pagare il debito coloniale alla Francia. I dirigenti africani che rifiutano sono uccisi o cadono vittime di un colpo di stato. Quelli che obbediscono sono sostenuti e ricompensati dalla Francia, con uno stile di vita sontuoso, mentre le loro popolazioni restano nella miseria e nella disperazione1. Il debito coloniale sarebbe il debito che la Francia ha addossato alle sue ex-colonie per farsi “restituire” i “vantaggi” della colonizzazione.

In quasi 14 paesi non esiste ancora neppure una valuta locale, ma si usa in tutti il Franco CFA (in origine acronimo di «Colonie Francesi d’Africa», riciclato in «Comunità Finanziaria Africana»). Per mantenere la parità con l’euro, spiega Konarè, i 14 paesi africani devono versare al Tesoro francese il 65% delle loro riserve valutarie. Ogni anno questo indegno business porta alle finanze francesi circa 500 miliardi di dollari, tutti provenienti dall’Africa. Una cifra esorbitante, al punto che nel marzo 2008 l’ex presidente francese Jacques Chirac dichiarò: “Senza l’Africa la Francia scenderebbe un paese del terzo mondo2.

 

Ogni accordo commerciale stretto con altri paesi e ogni legge di bilancio di questi 14 paesi deve essere dapprima approvata dall’Eliseo, secondo gli accordi di cooperazione siglati nel 1961. Infine, gli accordi militari tra la Francia e le ex-colonie sono tuttora segreti.

Ma non c’è certo solo la Francia. Più di cento compagnie inglesi, francesi, americane ed europee quotate alla City di Londra sfruttano le risorse minerarie di 37 paesi dell’Africa subsahariana per un valore di oltre 1000 miliardi di dollari3. L’Africa, presentata come dipendente dagli aiuti esteri, fornisce in realtà un pagamento netto annuo di circa 40 miliardi di dollari4. Inoltre, tutto quello che l’Occidente concede all’africa con le note “donazioni” e attività filantropiche dei ricchi è appena un quarto degli interessi che ogni anno l’Africa deve pagare al Fondo Monetario Internazionale, cioè alle banche degli stessi paesi ricchi5.

Infine, il 70% degli aiuti della cosiddetta “cooperazione internazionale”, secondo studi compiuti anche dalla Banca Mondiale, non arrivano nemmeno a destinazione. Restano in Occidente, infatti, nei conti bancari dei funzionari che prendono stipendi vertiginosi. Il restante 30% si perde al 90% nella corruzione africana6. La cooperazione internazionale si rivela pertanto per quello che è: una grande scenografia hollywoodiana, dove i paesi ricchi finanziano sé stessi con un giro di partite contabili, ma funzionale nell’immaginario collettivo a cancellare i sensi di colpa delle nostre coscienze, in modo che possa continuare indisturbata la sua razzia planetaria.

Le conseguenze sociali di tutto ciò sono devastanti. Nell’Africa subsahariana, la cui popolazione supera il miliardo ed è composta per il 60% da bambini e giovani di età compresa tra 0 e 24 anni. Circa i due terzi degli abitanti vivono in povertà e, tra questi, circa il 40% – cioè 400 milioni – in condizioni di povertà estrema7. La «crisi dei migranti» è in realtà la crisi della diseguaglianza, figlia del sistema di brigantaggio internazionale più raffinato mai congeniato.

Chi prova ad opporsi a questo sistema, viene immediatamente spazzato via. Un esempio su tutti, tra i più recenti, è senz’altro l’attacco alla Libia di Gheddafi lanciato da USA, Francia e Gran Bretagna. Perché il colonnello dava fastidio? Perché Gheddafi aveva appaltato l’organizzazione del satellite telefonico intercontinentale africano a russi e cinesi; aveva revocato a Francia e Inghilterra l’appalto per la dissalazione delle acque subsahariane; ma soprattutto aveva cominciato a organizzare una banca internazionale africana agganciata all’oro, per svincolare i paesi africani dalla morsa del debito inflitto dal FMI. Secondo Konarè, Gheddafi aveva già messo a disposizione il doppio dei fondi che in quel momento il FMI concedeva. Conclusione: una guerra sanguinosa, centinaia di migliaia di sfollati, campi di prigionia a cielo aperto di fronte al Mediterraneo. E accade sempre così: nel momento in cui un (ex-)paese coloniale prova a costruire un proprio sviluppo autonomo, viene immediatamente rimpiazzato da “rivoluzioni” ad orologeria. E si potrebbero fare molti altri esempi, come il Burkina Faso di Thomas Sankara e il suo internazionalismo socialista pan-africano finito nel sangue della repressione francese. Nei 14 paesi africani ex-colonie della Francia, dagli accordi di cooperazione del 1961 ad oggi, ci sono stati 41 colpi di stato e decine di presidenti morti ammazzati per aver sfidato questo regime di sfruttamento violento8. 41 colpi di stato in 14 paesi significano, in media, oltre 3 colpi di stato a testa, in appena 50 anni. E poi c’è ancora chi sostiene che gli africani sarebbero indolenti, che non avrebbero mai provato a cambiare la loro sorte.

Ma di tutto questo televisioni e giornali non parlano, vige la censura del silenzio. Non vedendo quello che succede laggiù semplicemente non possiamo prendere posizione; il grande potere mediatico oggi è anche questo: decidere l’ordine del giorno, su quale area puntare i riflettori e su quali invece lasciar cadere l’oscurità. Ma c’è di più: il mainstream mediatico si ostina a presentare il problema africano e quello conseguente della migrazione in termini del tutto fasulli, proponendo due alternative entrambe sbagliate (accoglienza – respingimenti), così da spostare l’attenzione del grande pubblico su un binario morto. Esattamente come accade nel caso di Fridays for Future che di fronte alla tragedia ambientale propone un’inesistente opposizione tra giovani a vecchi.

Il vero problema della migrazione è il depredamento delle sue ricchezze ad opera del resto del mondo e se non partiamo da qui, sarà impossibile determinare soluzioni efficaci e capire a fondo il fenomeno. Purtroppo questa campana non la sentiremo mai risuonare, né dai populisti di destra né dai globalisti di sinistra. Ai populisti di destra interessa solo continuare a mantenere il loro stile di vita senza vedersi costretti a spartirlo con altre persone, anche se questo stile di vita è figlio della spogliazione coatta di altri popoli. I globalisti di sinistra invece invocano l’abbattimento dei muri e delle limitazioni all’immigrazione nell’idea di creare al più presto un mercato unico mondiale del lavoro, laddove ciascuno, romanticamente, potrà costruirsi il proprio “sogno americano” (la peggiore delle menzogne sociali). Tuttavia, sia i populisti di destra che i globalisti di sinistra non fanno mai appello all’organizzazione politica delle masse per bloccare le guerre, riappropriarsi del territorio e ristabilire il diritto di vivere in pace nel proprio paese natio. E la ragione è che entrambi non hanno alcuna intenzione di mette in discussione l’attuale modello di sviluppo, il capitalismo. Non diranno mai, invero, che la risoluzione del problema migratorio è il ridimensionamento dello stile di vita delle classi agiate dei paesi ricchi. Sfortunatamente la soluzione è impopolare e non paga in termini di voti, ma nonostante ciò resta l’unica strada.

Ma allora se l’Occidente e ormai anche parte dell’Oriente si stanno arricchendo sulle spalle degli africani, a Cui prodest l’immigrazione spinta? La gran parte dei governi africani, infatti, è un fantoccio che riflette i poteri suddetti; se i migranti continuano a partire allora ci dovremmo aspettare che il fenomeno sia voluto. Già diversi studiosi hanno evidenziato il ruolo rivestito in questo scenario dal microcredito, della nuova finanziarizzazione della povertà e dalle ONG9.

Un primo effetto nel deportare grandi masse di persone disperate, che non possiedono nulla e che nemmeno hanno ricevuto una formazione scolastica, è abbassare ulteriormente il costo del lavoro su tutta la media dei settori lavorativi, sia per immigrati che per autoctoni. Ciò è confermato da un documento internazionale del FMI, intitolato “Global Prospects and Policy Challenges”, successivo al G20 del 2016. In questo documento il FMI dichiara esplicitamente che l’unico modo perché l’Europa torni a crescere è “integrare i migranti nel mondo del lavoro”. Le politiche che il Fondo suggerisce sono a dir poco inaudite però: chiede di “ridurre al minimo le restrizioni per lavorare anche durante la fase delle domande d’asilo”, sino a prevedere addirittura “eccezioni temporanee ai salari minimi o di ingresso, laddove questi ostacolino l’occupazione10. Ossia si prospetta di far lavorare i migranti anche a stipendi che violino le norme del salario minimo come già avviene in Germania dove i migranti possono lavorare legalmente nei centri che li ospitano a 1.05€ l’ora mentre la paga minima sarebbe 8.84€11. In questo modo i migranti lavorano in condizioni di schiavitù e al contempo si abbassano i salari di tutti. Così sempre più giovani, autoctoni e migranti, sono intrappolati tra le morse del caporalato, del sistema dei voucher, nella “gig economy”, nelle “collaborazioni a progetto”, ecc. Non va mai dimenticato però, che l’abbassamento dei salari dovuto alle migrazioni di massa, non è mai colpa dei migranti. Se i migranti sono pagati molto meno rispetto agli autoctoni, la colpa è solo del datore di lavoro che approfitta della condizione di disperazione del migrante per abbassare le paghe. Il problema, più in generale, è che il lavoro nel capitalismo, è un mercato: se l’offerta di lavoro aumenta, a parità di posti disponibili, il prezzo (ovvero il salario) si ridurrà.

Il lento ma continuo afflusso di migranti dai più disparati luoghi del mondo (tutti affamati) permette inoltre di sostituire la manodopera autoctona, ancora legata per tradizione storica a un certo sindacalismo, all’organizzazione politica e a una vita dignitosa, con un’altra, culturalmente molto confusa sul piano dello sviluppo di una teoria politica della distribuzione, dei diritti e dello Stato. La tendenza generale delle classi dirigenti, è sostituire un popolo culturalmente ancora impregnato nel “diritto” con un altro popolo, marchiato da secoli di sfruttamento, immaturo nelle praterie dei diritti civili e sociali, perciò più facile da sottomettere. Di nuovo non per colpa loro, ma per colpa dei colonialisti. La sostituzione della popolazione autoctona, quindi, non ha solo fini economici, ma mira direttamente verso un vero e proprio regresso culturale. Dobbiamo chiederci come si strutturerà il discorso pubblico quando la politica parlerà a persone che non hanno mai letto o sentito parlare di Rivoluzione Francese, Democrazia ateniese, Comunismo, capitalismo, imperialismo. I primi effetti li vediamo già oggi, osservando le menti narcotizzate della gioventù. Una volta che le élite saranno riuscite a sostituire buona parte della popolazione autoctona con quella migrante (nei prossimi 25-30 anni), e la morte per anzianità avrà fatto il suo lavoro nell’eliminare le vecchie generazioni politicizzate, l’Europa potrà realizzare i sogni dei suoi padri fondatori come Francoix Perroux, Jean Monnet e Paul Shumann, diventando una potenza competitiva a livello mondiale nelle esportazioni, con salari compressi ai minimi livelli, tutele sindacali pressoché assenti e una cultura politica di base praticamente inesistente.

Infine, vi è una terza ragione del perché oggi la classe dominante sostenga i processi di deportazione. Peter Sutherland, commissario europeo per la Concorrenza e primo direttore generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, direttore non esecutivo di Goldman Sachs International, membro del comitato direttivo del Bilderberg, presidente per la Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni e Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite per le migrazioni internazionali alla BBC il 21 giugno 2012 ha spiegato la strategia della classe dirigente occidentale: “l’Unione Europea deve minare l’omogeneità nazionale dei paesi europei… gli stati europei devono diventare sempre più aperti in termini di chi li abita, bisogna passare da un mondo in cui gli stati sceglievano gli immigrati ad un mondo in cui gli immigrati scelgono gli stati…la prosperità dei paesi europei dipende dal diventare multiculturali…12.

L’esigenza di multiculturalità è intrinsecamente legata all’ultima fase della globalizzazione. Le classi lavoratrici, infatti, si sono sempre caratterizzate storicamente e culturalmente per la loro immobilità intesa come radicamento al suolo nazionale. Il lavoratore non delocalizza, infatti, ma aspira al “posto fisso”, a una vita tranquilla, a una famiglia. Tuttavia, dopo la liberalizzazione del movimento dei capitali, la borghesia post-moderna è diventata una classe sempre più cosmopolita. E ciò non poteva non coinvolgere anche i lavoratori che sono soggettivamente e oggettivamente ingranaggio della stessa macchina di sfruttamento coatto. In tale realtà, la “sedentarietà” della classe lavoratrice mondiale è diventata un freno oggettivo per la riproduzione capitalistica; un ostacolo che deve quindi essere eliminato. Ne segue, culturalmente, la decostruzione nell’immaginario collettivo dell’idea di patria, di famiglia, di popolo di religione e di cultura nazionale. In questo contesto appare allora evidente quanto sia necessaria per l’élite una cultura “multiculturale”, per rendere il lavoratore un individuo apolide, apartitico e apolitico, senza una comunità di riferimento e pronto a trasferirsi ovunque nel mondo secondo le indicazioni che riceverà dalla propria azienda. Quello che viene spacciato per multiculturalismo è in realtà una forma di mono-culturalismo, figlio del genocidio di massa di tutte le culture alternative, soffocate dalla triade monolitica anti-culturale McDonald’s, Coca-cola e iPhone. Lo scopo delle migrazioni è quindi abituare i popoli allo stato di migrazione permanente. E per dimostrarlo basta ricordare, su tutte, l’efficace dichiarazione della Boldrini: “I migranti sono l’elemento umano, l’avanguardia di questa globalizzazione, e ci offrono uno stile di vita che presto sarà uno stile di vita molto diffuso per tutti noi13.

L’effetto finale delle campagne immigrazioniste è minare l’identità culturale dei popoli tutti, perché, come da sempre è accaduto nella storia, divide et impera. Attraverso la frantumazione della omogeneità culturale delle popolazioni, senza il tempo, le condizioni e gli strumenti necessari per elaborare un sano dialogo interculturale, i potenti della Terra lasceranno deliberatamente entrare in conflitto tutte le culture che loro stessi hanno gettato le une contro le altre all’interno dei medesimi confini. Sarà la società della ghettizzazione generale dove regnerà la faida permanente tra il quartiere sudamericano, il quartiere islamico, il quartiere italiano e il quartiere delle villette a schiera protetto dalla polizia privata. E invischiati tutti tra i problemi della convivenza quotidiana, sarà difficilissimo (anche se comunque non impossibile) ricostruire l’unità tra le forze del popolo per scagliarla contro le élite perché il popolo stesso non ci sarà più come un unicum ma sarà stato scisso in un confuso melting pot permanente.

La soluzione a questo dramma esistenziale è il rinnovamento completo delle nostre relazioni umane, non ultimo, dei nostri rapporti economici. È un processo complesso, ovviamente, ma alcuni aspetti della soluzione già si possono dedurre dagli errori di oggi. Le condizioni economiche per la pace sono almeno due: condividere le risorse naturali e condividere le conoscenze tecnico-scientifiche, tra tutti i popoli. Una volta che un popolo gode della stessa disponibilità pro-capite di risorse e delle stesse conoscenze, può produrre tutto ciò di cui ha bisogno internamente, senza bisogno di importare nulla, senza bisogno di invadere altri paesi con le proprie merci, senza bisogno di fare guerre commerciali. Gli scambi, quindi, non dovranno essere più regolati dal meccanismo del prezzo di mercato, perché esso attribuisce vantaggi maggiori alla controparte che possiede più potere contrattuale, e in questo modo i ricchi saranno sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, e la guerra non avrà mai fine. Lo scambio di risorse e materie prime, dovrebbe allora essere programmato da atti politici, presi di comune accordo, e finalizzati a garantire l’equa distribuzione delle risorse naturali tra tutti i popoli del pianeta. Questo nuovo genere di scambi non avrebbe nemmeno bisogno dell’intermediazione dei pagamenti monetari.

E infine, di fronte a un potere internazionale, dovremo rispondere con la ricostruzione di una nuova grande internazionale sovranista-socialista di popoli fratelli e nazioni sorelle, che difenda il reciproco diritto di vivere nella propria terra in pace e dignità. Un’organizzazione che supporti finanziariamente tutte quelle organizzazioni a carattere popolare che esistono in Africa e che si battono per raggiungere almeno i seguenti punti irrinunciabili:

1) L’ espropriazione dei grandi stabilimenti multinazionali e la nazionalizzazione delle principali risorse e riserve naturali affinché siano i popoli autoctoni a gestirle per il bene della propria comunità locale e nell’interesse più generale dell’Internazionale stessa

2) il ripudio dei debiti verso le potenze ex-coloniali e verso il Fondo Monetario Internazionale

3) il recupero pieno di una Banca Centrale Nazionale di proprietà pubblica

4) l’uscita da tutti gli accordi capestro con le ex potenze coloniali ma anche dagli accordi di libero scambio che eliminando le barriere commerciali, impediscono lo sviluppo industriale, lasciando decine di paesi intrappolati nell’economia dell’esportazione (a costi irrisori) di materie prime

5) l’impegno del paese ad entrare nella Internazionale affinché le sue risorse siano coordinate con quelle degli altri paesi dell’Internazionale attraverso programmi economici condivisi

Dal canto loro i paesi che sino a ieri hanno rubato e dominato con la violenza militare le terre d’Africa dovrebbero almeno:

1) ritirare immediatamente tutti i militari presenti sul territorio africano e smantellare le loro basi militari

2) vietare l’esportazione di armi e riconvertire le loro industrie militari alla produzione civile, mantenendo aperte solo quelle necessarie ad organizzare la difesa del proprio territorio

3) riformulare tutti gli accordi commerciali su un piano di piena equità, dove, ad esempio, l’Africa metta a disposizione una parte delle proprie risorse in cambio di un ingente flusso di macchinari e mezzi moderni forniti dai paesi europei e non solo per l’industrializzazione dell’agricoltura e della manifattura africana

4) cacciare dal proprio paese tutte le ONG che si rifiutano di mostrare i propri bilanci e quelle che, mostrandoli, evidenziano finanziamenti “politici” provenienti da ambienti economico-finanziari riconducibili all’agenda globalista; sottrarre alle “cooperative” il monopolio dell’”accoglienza e riportarlo sotto lo stato, per stroncare il business dei migranti

5) finanziare attivamente i movimenti popolari africani di liberazione.

Fonti:

1 http://regardsurlafrique.com/14-pays-africains-forces-par-la-france-de-payer-limpot-colonial-pour-les-avantages-de-lesclavage-et-de-la-colonisation/

2 https://www.youtube.com/watch?v=aoIcBuhOF2k

3 https://ilmanifesto.it/neocolonialismo-e-crisi-dei-migranti/

4 https://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2017/05/24/news/africa_chi_crea_la_poverta_fermiamo_l_evasione_paghiamo_i_danni_e_ripensiamo_gli_aiuti_-166295080/

5 https://www.youtube.com/watch?v=beUAgufmHB0

6 https://www.listadelpopolo.it/giulietto-chiesa-emigrazione/

7 https://ilmanifesto.it/neocolonialismo-e-crisi-dei-migranti/

8 https://www.orsomarsoblues.it/2018/06/a-proposito-di-migranti-sapevate-che-molti-paesi-africani-continuano-a-pagare-una-tassa-coloniale-alla-francia-dalla-loro-indipendenza-fino-ad-oggi/

https://www.globalist.it/guerra-e-verita/articolo/2017/08/31/14-paesi-africani-costretti-a-pagare-tassa-coloniale-francese-2010740.html

9 https://scenarieconomici.it/microcredito-e-migrazioni-di-massa-la-finanziarizzazione-della-disperazione/

Sonia Savioli, ONG. Il cavallo di troia del capitalismo globale, Zambon, Jesolo, 2018.

10 Global Prospects and Policy Challenges, G-20 Finance Ministers and Central Bank Governors’ Meetings March 19-20, 2018 Buenos Aires, Argentina

11 https://www.thelocal.de/20160516/germany-puts-refugees-to-work-for-one-euro

12 https://www.bbc.co.uk/news/uk-politics-18519395

https://en.wikipedia.org/wiki/Peter_Sutherland

13 https://le-citazioni.it/frasi/333899-laura-boldrini-dobbiamo-dare-lesempio-concreto-

di-una-cultura-de/