Re: Norme anti-inquinamento auto: altra truffa?

Inviato da  ivan il 21/8/2006 13:10:35
Mentre state a discutere che le norme anti-inquinamento sono una truffa, altrove ...

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200608articoli/9344girata.asp

Citazione:


POLITICA
AZIENDE FANTASMA NEL 2005 IN ITALIA ACCERTATI 341 MILIONI DI CONTRIBUTI IRREGOLARI: 118 SONO RICONDUCIBILI A PROGETTI PRESENTATI A CATANZARO

Ferrari e Bot al posto delle fabbriche

In Calabria record delle truffe all’Ue
I controlli di Bruxelles sui fondi per lo sviluppo: su 28 ispezioni 28 frodi

21/8/2006

di Marco Sodano




Dopo non controllano più. Se metti insieme una documentazione poco poco credibile ammettono il progetto al finanziamento e passi alla cassa: un milione o due sono bazzecole. C’è chi è riuscito a farsi assegnare contributi dell’Unione europea per 50 milioni. Un giro sulla giostra del Por (Piano operativo regionale) Calabria è l’occasione per svoltare. Ogni tanto la Regione chiede di vedere la contabilità, ma le fabbriche fantasma rendono così bene che vale la pena di mettere in piedi un giro di fatture false, o rendiconti inventati di sana pianta. A controllare se lo stabilimento c’è davvero non arriverà nessuno. Bruxelles paga la Ferrari. Dei soldi puoi fare quel che vuoi: un dentista s’è comprato una Ferrari Testarossa. Un imprenditore ha intascato il malloppo ed è sparito, lasciandosi alle spalle la prima pietra di uno stabilimento che non vedrà mai la luce e 280 persone che aspettano la chiamata al lavoro. Il Por Calabria è un torrente di denaro profuso a fondo perduto: 4 miliardi finanziati a partire dal 2000 - 1,8 sono già impegnati, il resto arriverà entro il 2013 - per chi avvia un’attività.

L’unico limite è la fantasia: pannelli fotovoltaici, valvole per il gas, blue jeans, bistecche di soia da esportare in nordafrica, accessori per auto, articoli di cancelleria. Dopo tanta pioggia le imprese spuntano come funghi, almeno sulle carte della Regione. Chi riempie quelle carte fa bene attenzione a non mettere il naso fuori, così non è costretto ad accorgersi che nella piana di Gioia Tauro - per esempio - sono stati finanziati 57 nuovi stabilimenti che dovrebbero impiegare 1600 operai. Però le aziende sono sei e i posti di lavoro meno di 200. E se nel 2005 in Italia sono stati accertati contributi Ue irregolari per 341 milioni, 117 milioni 825 mila euro - quasi un terzo - erano destinati alla Calabria.

Un tizio di Brescia aveva investito il denaro ottenuto da Bruxelles in titoli di Stato, un altro ha smontato nottetempo la fabbrica, ha denunciato il furto dei macchinari e quando lo hanno arrestato era pronto a ricominciare: aveva chiesto un secondo finanziamento attraverso la Regione Campania per gli stessi macchinari.

Ispezioni prevedibili. Finché la sezione calabrese della Corte dei conti non ha deciso di controllare i controllori, spulciando l’attività dell’anno 2005. L’esito è in una relazione pubblicata qualche settimana fa. Ispezioni sul campo? «Solo quelle obbligatorie», dunque previste e prevedibili: nel 95% dei casi non se ne fanno. Pungolata dai magistrati contabili, la Regione ha ammesso che per via di «difficoltà organizzative e strutturali dei Dipartimenti regionali le ispezioni presso immobili e cose di proprietà o disponibilità del soggetto che richiede i contributi vengono effettuate su un campione non significativo di progetti (circa il 5%)». Il sistema elettronico di verifica e archivio? Acquistato nel secondo semestre 2005, Rendiconta (si chiama così) è entrato in servizio attivo solo ad ottobre. «Prima di allora - dice la relazione - pochi e confusi strumenti hanno guidato le azioni di controllo». E del periodo 2000-2005 «non ci sono dati certi».

Immigrati della truffa. Un gruppo di imprenditori di Brescia e Ravenna ha ricevuto più di 50 milioni per produrre accessori per auto. Progetto da 122 dipendenti, accompagnato da perizie taroccate che spacciavano per nuovi macchinari obsoleti: totale 13 assunzioni. Perché la Calabria è diventata la terra promessa dei cacciatori di contributi Ue e la Guardia di Finanza racconta che «dal Nord arrivano imprese organizzate, che si appoggiano a grossi studi associati e ottengono moltissimo in contributi». Gente che anziché correre a comprarsi la barca o la villetta (abusiva) al mare, si mette a fare giochi di prestigio con gli aumenti di capitale e alla fine intasca tutto. A pensar male, tra l’altro, ci si indovina.

Controprova: dal 14 al 18 marzo del 2005 la Commissione Europea ha organizzato un controllo a tappeto sui fondi strutturali europei, e «tutti i progetti campionati (28) hanno presentato irregolarità diffuse. Circa il 68% presentano irregolarità di tipo sanabile, nel restante 32% le irregolarità non sono sanabili, ossia presentano violazioni dei regolamenti comunitari». Seconda controprova: le Fiamme Gialle hanno passato al setaccio 48 aziende nel corso del 2005, scoprendo 22 casi di irregolarità. A fronte di queste cifre, il controllo regionale - sempre nel 2005 - è approdato appena a 11 denunce.

I responsabili. E i controllori? Sono i responsabili di misura che, a dispetto del compito delicatissimo al quale sono chiamati, cambiano spesso ufficio: il 29% resta nello stesso posto meno di un anno, un altro 29% non più di due, il 30% non più di tre anni, nessuno più di quattro. «Nessuno - osservano i magistrati contabili - ha gestito i fondi Por 2000-2006 per tutto il periodo di competenza». La Corte ha dato un’occhiata ai loro curriculum: solo il 19,5% è dirigente, il 50% è funzionario, gli altri sono dipendenti che in precedenza hanno avuto la «responsabilità di un ufficio». Il 46% è laureato, il 52% ha un diploma di scuola superiore e «due schede sono tornate in bianco».

Controllo politico. Meraviglia, osservano i magistrati, che a decidere siano le seconde linee. La Corte aggiunge, tra l’altro, che avrebbe voluto controllare tutti i finanziamenti del 2005 ma «non è stato possibile perché non tutti i responsabili hanno risposto, in palese violazione dei doveri di collaborazione». «Parecchi» hanno fatto orecchie da mercante. Come meraviglia che la Regione non abbia un centro unico di controllo: i fondi sono divisi tra gli assessorati, poi ognuno se la vede da sè. La chiave sta nell’ultima riga della relazione della Corte dei Conti: se vuole una gestione efficiente, la Regione deve «separare il ruolo della politica da quello dei manager». Resta da vedere fino a che punto la politica è disposta a perdere il controllo diretto dei fondi.




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